Come riprendere il confronto
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Torino-Lione, vent’anni senza memoria condivisa
E’ vero, la storia non si fa con i “se”. Ma stavolta l’eccezione è d’obbligo. Perché se Luca Abbà, lunedì 27 febbraio, non si fosse arrampicato su quel traliccio in Val Clarea sotto il naso allibito dei poliziotti; e se non si fosse beccato una scossa elettrica tremenda che l’ha gettato a terra da un’altezza di 15 metri… oggi saremmo qui a raccontare tutta un’altra storia. Meno clamorosa e circoscritta ai confini della valle di Susa. Al massimo qualche lancio di agenzia, un paio di articoli sui quotidiani, due o tre servizi televisivi sul tg regionale.
Invece è andata diversamente, nonostante stavolta prefettura e questura l’avessero davvero pensata bene, cogliendo tutti di sorpresa.
All’ennesima, massiccia, manifestazione No Tav sabato 25 febbraio, tutti ma proprio tutti (sindaci e leader no tav compresi) pensavano che l’annunciato allargamento dei confini del cantiere per il cunicolo esplorativo della Maddalena, a Chiomonte, sarebbe avvenuto nella notte tra lunedì 27 e martedì 28. Invece il blitz è scattato con 24 ore di anticipo, tanto che nella tanto mitizzata “baita” costruita (senza permessi edilizi) dai No Tav, a “presidiare” e a scrutare l’orizzonte non c’erano più di venti persone.
All’ennesima, massiccia, manifestazione No Tav sabato 25 febbraio, tutti ma proprio tutti (sindaci e leader no tav compresi) pensavano che l’annunciato allargamento dei confini del cantiere per il cunicolo esplorativo della Maddalena, a Chiomonte, sarebbe avvenuto nella notte tra lunedì 27 e martedì 28. Invece il blitz è scattato con 24 ore di anticipo, tanto che nella tanto mitizzata “baita” costruita (senza permessi edilizi) dai No Tav, a “presidiare” e a scrutare l’orizzonte non c’erano più di venti persone.
La variabile “impazzita”, non calcolata è stata appunto l’azione del militante No Tav, salito sul traliccio, folgorato dalla corrente, cascato a terra, ricoverato in gravissime condizioni al Cto di Torino e, oggi, salvo per miracolo.
Il gesto clamoroso fin dalle prime ore ha fatto il giro della rete, dei blog, dei social network. E subito l’etere è stato invaso da sms. I giornalisti si sono affrettati a salire in valle da ogni dove. Immagini, parole, commenti, notizie si sono accavallate da oltre una settimana a un ritmo incalzante, vorticoso.
E la valle di Susa è nuovamente finita in prima pagina e nei titoli di testa dei Tg. Regalando all’Italia e al mondo intero una cartolina di sé stessa tra le non più edificanti. Già, perché, subito sono scattati i blocchi su strade e autostrade. E la A32, che collega Torino alla Francia, è rimasta bloccata per oltre 50 ore, fino a quando le forze dell’ordine non sono intervenute sgomberando il campo, non senza polemiche. L’uso della “forza”, si sa, per quanto soft, non è mai indolore. E, ancora una volta, è iniziata uno stucchevole gioco a chi ha cominciato per primo, se cioè fossero partiti prima idranti e lacrimogeni dalla polizia o pietre e parole grosse dai manifestanti più … accesi.
E adesso? Si sprecano gli appelli al dialogo, Viene invocato un tavolo per aprire una trattativa tra la valle di Susa e il… resto del mondo favorevole alla Tav, in primo luogo il Governo. Che però, da parte sua, replica che il tavolo c’è già stato, che l’Osservatorio ha lavorato, che ormai è il tempo di sgomberare non solo strade e autostrade dai manifestanti ma anche (e soprattutto) il campo da ogni dubbio circa la bontà dell’opera.
“L’analisi costi-benefici – hanno detto il premier Monti e il ministro Passera – dimostra che l’opera va fatta”. Con un solo, piccolo, dettaglio. Proprio questa analisi costi-benefici, che rappresenta l’ultima fatica dell’Osservatorio diretto dal Commissario governativo per la Torino-Lione Mario Virano, è stata messa nero su bianco su un Quaderno dell’Osservatorio che però (cosa strana e un po’ misteriosa) non è ancora stato distribuito.
La domanda, a questo punto, pare semplice. E’ possibile riannodare un dialogo con la Valle di Susa. E se è anche fosse possibile, perché dalla Provincia in su, fino al Governo e addirittura fino al Colle del Quirinale non lo si ritiene opportuno? La risposta pare più complessa di quanto appaia. Per dialogare si vorrebbe un terreno senza presìdi, senza blocchi stradali, senza “incappucciati” spesso violenti, provenienti da ogni dove che hanno scelto la battaglia No Tav di parecchi valsusini come simbolo di tutte le ingiustizie della terra.
Mentre, da parte dei No Tav e dei 23 sindaci (su 40) della Comunità Montana contrari all’opera si chiede, per dialogare e riaprire il dialogo, che il cantiere della Maddalena interrompa i lavori, mettendo però a repentaglio a quel punto i finanziamenti conquistati con tanta … fatica presso l’Unione Europea.
Insomma, un bel rebus. Che per essere in qualche modo risolto avrebbe quanto meno bisogno di ritrovare una “memoria condivisa” di quanto accaduto fino ad oggi ai tavoli a suo tempo istituiti per dialogare. Quell’Osservatorio sulle cui finalità, da subito, mancava chiarezza. Già, perché mentre per il Governo centrale, la Regione, la Provincia e il Comune di Torino, questo rappresentava il modo per far digerire alla valle di Susa una scelta già presa, e cioè la costruzione della nuova linea, per il popolo No Tav questo doveva essere il luogo dove dimostrare l’assoluta inutilità dell’opera.
Le contraddizioni sono esplose al momento del passaggio, tra il 2009 e il 2010, dalla prima fase dei lavori dell’Osservatorio, dedicata all’analisi della capacità della linea ferroviaria attuale e dei flussi di traffico passeggeri e merci, alla seconda fase, quella che doveva occuparsi della progettazione della nuova infrastruttura. La fase, cioè, in cui si sarebbe dovuto passare dalle parole ai fatti; dal “sì” o “no” tav al “come” tav. Un confronto visto come fumo negli occhi dalla parte più oltranzista del Movimento No Tav che, già nei mesi precedenti, aveva cominciato a far pressione sui sindaci affinchè uscissero dall’Osservatorio Tecnico. Cosa che, successivamente, è accaduta.
Così non manca – anche all’interno del fronte che ritiene la nuova linea inutile, dannosa e costosa – chi pensa che proprio l’Osservatorio, in realtà, sia stata un’occasione persa per far pesare, ai tavoli che “contano”, le ragioni dei No Tav. E’ vero che proprio in apertura della fase 2 dell’Osservatorio fu l’allora presidente della Regione Mercedes Bresso a sostenere che per partecipare all’organismo fosse necessario fare, in qualche modo, un atto di fede sulla bontà della nuova infrastruttura. Ma è altrettanto vero che ci fu chi, tra i sindaci valsusini, colse l’occasione per fuggire dal tavolo tecnico, permettendo così che il pallino della gestione della protesta passasse dalle istituzioni locali alla parte movimentista e, diciamolo, estremista del movimento. Salvo poi lamentarsi, a posteriori, delle soluzioni progettuali uscite da un tavolo di confronto a cui ci si era rifiutati di partecipare.
Anche la “parte” dei promotori del Tav, in tutto questo, ci ha messo del suo. Come? Ad esempio rifiutando, fin dal primo momento, l’interlocuzione della Comunità Montana che, nel frattempo, aveva cambiato confini, comprendendo al suo interno non solo più la bassa valle di Susa ma anche l’alta Valle e la vicina Val Sangone. E che, col nuovo sistema, aveva eletto l’ex sindaco di Susa Sandro Plano alla presidenza, attraverso una consultazione elettorale che aveva coinvolto tutti i consiglieri comunali del territorio.
Un vero e proprio vulnus al quale, per riprendere un dialogo degno di questo nome, andrebbe posto rimedio. Non si capisce, infatti, perché alla “nuova” Comunità Montana venisse negato il diritto riconosciuto alla “vecchia” comunità montana: quello cioè di sedersi al tavolo politico di Palazzo Chigi e di nominare suoi tecnici all’interno dell’Osservatorio, Così come, peraltro, gli stessi vertici della comunità montana, avrebbero dovuto rendersi conto, in questi anni, di avere, sul merito della questione Tav, una posizione condivisa soltanto dalla metà delle amministrazioni comunali che fanno parte dell’ente. E cercare alleanze istituzionali all’interno e all’esterno dei propri confini istituzionali, evitando, come invece ha fatto, di chiudersi a riccio su posizioni oltranziste e appiattite su quelle dell’ala estremista del movimento.