Riesplode la crisi, timori per la Beltrame. E ad Avigliana arriva il presidente mondiale della Tekfor
L’autunno nero dell’occupazione si fa sentire sempre di più, anche in valle di Susa. A preoccupare, adesso, sono le prospettive dello stabilimento del gruppo Afv Beltrame che sorge sul confine tra San Didero e Bruzolo e, soprattutto, quella dei circa 400 dipendenti delle acciaierie a cui si aggiungono un centinaio di lavoratori delle aziende dell’indotto. Il Gruppo Beltrame a inizio agosto ha annunciato (e l’ha riconfermato ai sindacati la scorsa settimana) di voler chiudere i due stabilimenti di Porto Marghera (Mestre, 120 lavoratori) e San Giovanni Valdardo (Arezzo, 80 lavoratori). Notizie che hanno fatto scattare l’allarme anche tra i lavoratori dello stabilimento valsusino. “Certo, la notizia della chiusura di Marghera – spiega Claudio Suppo della Fiom Cgil – è giunta improvvisa. Ma non altrettanto “improvvisa” è la crisi che riguarda l’intero settore siderurgico che rischia di colpire migliaia di lavoratori”.
Lavoratori davanti ai cancelli della Beltrame di San Didero – Bruzolo |
Un dato su tutti: la siderurgia, fino a qualche anno fa, dava lavoro a più di 50 mila persone. Oggi ne sono rimaste poco più di 35 mila. Un settore che patisce lo stop che la crisi ha provocato all’intera economia: “E quello che si fonde a San Didero-Bruzolo – spiega Suppo con Margot Cagliero (Cisl) e Vincenzo Pepe (Uil) – è acciaio mercantile, destinato soprattutto a settori come l’edilizia, vittime a loro volta della spirale di crisi”.
Che succederà quindi? “Da quanto si percepisce, forse, per lo stabilimento di San Giovanni Valdarno la chiusura per il momento sembra quanto meno rimandata. Ma di certo le prospettive non sono buone”. Qual è il problema quindi? “Principalmente di politica industriale. Se non riparte l’economia non ce n’è per nessuno”. “Altro che la luce al fondo del tunnel! – dice Suppo. “Quella la vede solo Monti”. La proposta quindi è quella di aprire un tavolo a Palazzo Chigi. Ma un tavolo nazionale, con tutti quanti seduti intorno. Perché qui si va oltre le dinamiche di un singolo stabilimento”. E intanto che si fa? Per quanto riguarda San Didero, per ora si parla di un blocco dell’acciaieria (metà della fabbrica) per circa sei mesi e utilizzo della cassa integrazione straordinaria, mentre i laminatoi continueranno a lavorare. E nello stesso stabilimento si dice che a un ristretto numero di persone (meno di una decina) con responsabilità dirigenziali e semidirigenziali sia stata stata fatta la proposta di un trasferimento a Vicenza, nella fabbrica “madre”. Sulla vicenda intervengono anche i Cobas: “Ora pare che il Gruppo Beltrame intenda procedere con azioni piuttosto secche, annunciate praticamente a cose fatte – commenta Diego Margon, coordinatore di Torino e provincia. “E anche se per San Didero non si parla di chiusura, i lavoratori hanno il concreto timore che l’azienda punti a un ridimensionamento consistente: ovvero, che l’attività della acciaieria venga prima sospesa e poi definitivamente chiusa. Questo significherebbe un dimezzamento della fabbrica e anche qualcosa di più, visto che le produzioni (acciaieria e laminatoio) non sono del tutto indipendenti”. Il Gruppo Beltrame infatti ha anche stabilimenti all’estero in Germania, Francia e Romania. Un ipotesi che, però, a Suppo, Cagliero e Pepe pare poco credibile: “Ciascuno di questi stabilimenti – spiegano – produce per un territorio limitato, tra i 100 e i 300 km. Oltre quella distanza i costi di trasporto diventano insostenibili”. Insomma, il mercato per San Didero e Bruzolo, dal punto di vista siderurgico, è il Nord Italia. E neanche tanto in là. Intanto, per fine mese, è annunciato un incontro tra sindacato e direzione del gruppo Beltrame a Vicenza. Non mancheranno i pullman per portare i lavoratori di Bruzolo San Didero sotto la sede veneta della Casa Madre. Mai come adesso, dicono i dipendenti, dobbiamo far sentire la nostra voce.
Il presidente mondiale della Tekfor incontra i delegati di Avigliana
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Ulrich Mehlmann |
AVIGLIANA – Nella città in riva ai laghi ieri pomeriggio, mercoledì 26, è approdato nientemeno che il presidente mondiale del Gruppo Tekfor Ulrich Mehlmann.
Una visita non certo di cortesia, visto che doveva incontrare i rappresentanti dei lavoratori, altrimenti detti Rsu (rappresentanze sindacali unitarie) degli stabilimenti di Avigliana e Villar Perosa. Stabilimenti che sono alle prese con un deficit tremendo: 16 milioni di rosso su un fatturato di 160 milioni di euro. Cioè il 10 per cento. E proprio ieri, Mehlmann ha presentato l’ipotesi di uscita. “Il gruppo Neumayer, di cui fa parte Tekfor – spiega il delegato sindacale Bruno Allegro – verrà di fatto posto in vendita. Un piano che va attuato entro il 14 dicembre.
I lavoratori della Tekfor di Avigliana |
E saranno i clienti del gruppo a fare da controllori garanti dell’operazione, anticipando gli importi delle fatture”. Mentre sul piano della Tekfor, la patata bollente sarà in mano all’attuale managment, in primo luogo all’amministratore delegato Roberto Peiretti e al responsabile del personale Fabrizio Zanobini.
“Avremo un incontro con i vertici della Tekfor la prossima settimana”, spiega Allegro. Intanto, oggi, la Tekfor chiederà la cassa integrazione straordinaria per un anno. E per il momento sindacato e lavoratori hanno sotterrato di nuovo l’ascia di guerra, in attesa di sapere quali saranno gli sviluppi del confronto con l’azienda.
E Giorgio Merlo interroga il Ministro Passera
Il deputato del Partito Democratico Giorgio Merlo ha presentato mercoledì 26 una interrogazione urgente al Ministro al Ministro dello Sviluppo economico “per sapere se la situazione della Tekfor è destinata a chiudere in poco tempo o se ci sono i margini per la tenuta dell’occupazione. Si tratta, infatti, di quasi 600 lavoratori a Villar Perosa e quasi 400 ad Avigliana. L’azienda tedesca, infatti, dopo aver rilevato dalla Omvp (ex Skf) ha portato i libri in tribunale alla corte distrettuale di Offenburg e ora rischia il fallimento. Restano appena 3 mesi di tempo per trovare i necessari finanziamenti Una situazione che richiede e impone adesso l’intervento del Governo per evitare che in una zona già segnata da una profonda crisi occupazionale e di prospettiva di sviluppo, si aggiunga anche un’ulteriore colpo proveniente da una storica azienda metalmeccanica come la ex Skf”.