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La Beltrame non chiude se… Una lampadina per l’acciaieria. Timida apertura dell’azienda. I sindacati: “Dividiamo il lavoro con i Contratti di Solidarietà”

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 Tanti operai davanti all’acciaieria non si vedevano da mesi. Il problema? Che quello di venerdì 12 aprile, davanti ai cancelli dello stabilimento di San Didero-Bruzolo, non è proprio un appuntamento di… lavoro. I 350 dipendenti Beltrame (che stanno facendo di tutto per tenersi stretto un posto di lavoro che la minacciata chiusura della fabbrica rischia di trascinare via) oltrepassano i cancelli ma si fermano pochi metri dopo per riunirsi in assemblea, a 24 ore dall’incontro a Roma con Governo, Regione Piemonte, direzione aziendale. Un incontro che ha lasciato sul tavolo lo spettro della chiusura dello stabilimento valsusino. Anche se, ha detto il sindacalista Uilm Vincenzo Pepe, “si è accesa una lampadina”. Già, perché per la prima volta l’azienda ha prospettato una serie di condizioni che, se si verificassero, potrebbero indurre la Beltrame a riconsiderare le proprie decisioni. “Una timida apertura – la definisce Pepe – anche se manca da parte aziendale l’impegno formale a tenere aperto lo stabilimento di San Didero e a ritirare i licenziamenti”. 
Insomma, “la Beltrame a Roma ha presentato la sua lista della spesa per poter continuare a tenere aperto il sito valsusino”, ha detto Margot Cagliero, Fim-Cisl. Ecco che cosa chiede l’azienda. 1) Strumenti per il supporto dei lavoratori perché gli ammortizzatori sociali sono in esaurimento, la cassa integrazione è agli sgoccioli e scade ad Agosto. 2) Strumenti per favorire la competitività dello stabilimento di San Didero. 3) Far scendere il costo dell’energia elettrica, 4) Finanziamenti per nuovi investimenti ma anche per opere accessorie al sito di San Didero. 5) Possibilità di utilizzo per conto terzi dell’impianto di decontaminazione delle polveri. 6) Interventi per contenere il costo del rottame da impiegare nella produzione.
“Una lista della spesa su cui il sindacato ha poca possibilità di incidere – ha puntualizzato Cagliero – e che semmai riguarda l’intervento delle istituzioni”. Una via d’uscita però c’è, soprattutto sul capitolo ammortizzatori sociali. “La cassa integrazione scade? E non chiediamola più. Ricorriamo piuttosto ai contratti di solidarietà”, propone Cagliero. Edi Lazzi, della Fiom, è d’accordo e si spinge a ipotizzare “un contratto di solidarietà esteso a tutti gli stabilimenti del Gruppo”. Come funzionerebbe? Lo spiega Margot Cagliero: “Si divide il lavoro che c’è tra i lavoratori, attraverso una riduzione degli orari e delle paghe che però viene compensata in misura superiore (il 20 per cento in più) rispetto alla cassa integrazione”.  Una strada tortuosa, difficile da praticare ma che, secondo Cagliero, darebbe “altri due anni di fiato ai lavoratori. Il resto dovrebbero farlo i mercati e la… fortuna. Perché in fondo, questa maledetta crisi, mica potrà durare in eterno”.
Intanto tra i lavoratori di San Didero, che continuano nel presidio davanti ai cancelli per bloccare le merci, si inizia a sperare. Aspettando il prossimo incontro, previsto sempre a Roma il 23 aprile.

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