Un viaggio nel cuore del Kenya, tra deserto e baraccopoli
I regali dell’AVSI per la mia conclusione dell’esperienza in Kenya sono state le visite sul campo per vivere e conoscere meglio la realtà keniota, uscendo da Nairobi e andando nell’entroterra.
La prima visita è alla Baldo Children’s Home, progetto sostenuto da AVSI e gestito dalle Piccole Suore di San Giuseppe, fondate dal Beato Giuseppe Baldo. Una bellissima realtà, che Suor Peris e le sue consorelle seguono dedicando la propria vita a centoquaranta bambini orfani, abbandonati o in condizioni familiari disagiate. Essi trovano un luogo che permette loro di crescere serenamente e colpisce da subito la bellezza e l’ordine che vi regna. “Insegno ai bambini ad apprezzare la bellezza” dice Suor Peris. “Un giorno una bambina aveva fatto male il letto. Non l’ho rimproverata, ma l’ho condotta nella mia camera e le ho fatto vedere come mi prendo cura delle mie cose. Le ho chiesto se voleva anche lei un letto ordinato e mi ha risposto di sì. L’importante non è imporre, ma far capire ai bambini che ciò che richiedi loro è per il loro bene, per insegnare loro ad apprezzare ciò che è bello“.
Suor Peris è un vulcano di idee e di fede, che stupisce per il sorriso con cui svolge tutte le sue attività. Dopo qualche giorno abbiamo visitato il deserto dell’East Pokot, un’area inospitale dove, da più di trent’anni, le Suore del Verbo Incarnato svolgono la loro missione. L’area è arida e trentanove gradi ci sembrano molti, perché a Nairobi sono già iniziate le stagioni delle piogge.
Le Suore ci accolgono, liete con noi per aver portato il fresco: la settimana precedente si erano raggiunti i quarantotto gradi. Con Suor Victoria visitiamo l’asilo, nato nel 1981, dove le prime sorelle insegnavano a gesti, in quanto i bambini della tribù Pokot parlavano solo l’idioma locale e non conoscevano swahili o inglese. I Pokot, generalmente, sono un popolo riservato. Le visite di alcuni anni fa vedevano i bambini e gli anziani fuggire di fronte alla macchina, o non rispondere a semplici gesti di saluto. Oggi gli anziani riconoscono l’opera delle Suore come un aiuto fondamentale per loro e le loro famiglie e abbiamo capito quanto il loro apostolato sia penetrato a fondo nei cuori della gente che, cordiale e affabile, ci accoglie e ci racconta di sé.
In queste visite ho potuto vedere quella Chiesa povera cui Francesco fa riferimento. Non è qualcosa da costruire, ma qualcosa che c’è e va sostenuto, con la preghiera e la carità, verso queste persone che offrono la loro vita per portare la speranza del Cristo Risorto fino ai confini della terra.
Riattraversiamo l’Equatore e torniamo a Nairobi, dove ho la possibilità di visitare la baraccopoli di Kibera. Descrivere questo dedalo di stradine e fogne a cielo aperto non è facile, con l’odore acre dei rifiuti che permea ogni angolo di questa città di lamiera di trecentomila anime. Accompagnato dalle Educatrici dell’AVSI Jackie ed Eddah, percorro le stradine accompagnato da allegri bambini che ci fanno da guide. Jackie, da quindici anni, segue i bambini dello slum, e tutti la riconoscono, la salutano e la ringraziano, chiedendole aiuto o esprimendole la gratitudine per uno dei tanti gesti concreti che ogni giorno fa nello slum. L’unico modo per vedere la baraccopoli è con l’accompagnamento di qualcuno che goda di rispetto e fiducia, altrimenti il rischio di aggressione è alto.
Mi stupisco, vedendo nei volti delle persone che incontro nelle baracche che visito, il sorriso. Perché il desiderio dell’uomo è lo stesso per il manager di Wall Street e per il povero di Kibera: la felicità. E passeggiando con Jackie, che cerca con il suo lavoro di portare speranza, educando al bello, educando al bene, educando al vero, mi rendo conto quanto sia stata importante l’esperienza che ho vissuto. Ogni traduzione che ho fatto ha portato quel bambino ad un sostenitore, lo ha condotto verso qualcuno che, con un piccolo gesto pieno di amore, può permettere a quel desiderio di avverarsi e a quel bambino e alla sua famiglia di incontrare il loro scopo, il loro fine: la felicità.