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Saitta e l’ospedale di Susa: “Nessuno ha mai detto di chiuderlo. Sarebbe una follia”. “Sarà ospedale di territorio anche se è stato definito di area disagiata”

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da sinistra: Ferrentino. Saitta, Cosenza

Un’occasione persa? Probabilmente sì, stando almeno al numero esiguo di sindaci presenti all’incontro di venerdì 6 febbraio a S.Antonino. Argomento: la sanità e, in particolare, il futuro dell’ospedale di Susa. La maggior parte degli amministratori, soprattutto quelli della bassa valle, ha preferito disertare l’incontro con l’assessore regionale Antonio Saitta. Una scelta su cui, con ogni probabilità, ha giocato il “fattore campo”. Nelle settimane scorse, infatti, i primi cittadini di Susa e Avigliana (Sandro Plano, che è anche presidente dell’Unione Montana, e Angelo Patrizio), avevano chiesto a Saitta di incontrare i sindaci a Bussoleno, a Villa Ferro. Diversa l’opzione di Saitta che ha preferito aderire all’iniziativa di Antonio Ferrentino, già sindaco di S.Antonino e consigliere regionale Pd. 

Così, a un dispetto si è risposto con un altro dispetto. Risultato: il confronto tra sindaci e assessore alla sanità chissà se e quando ci sarà anche se, garantisce Saitta a margine dell’incontro santantoninese, “le occasioni vedrete che non mancheranno”.

Per il resto, incontro blindato, com’è ormai tradizione in valle di Susa ogni qualvolta arriva un “big” della politica regionale o torinese, soprattutto poi se “targato” Pd. Con una cinquantina di attivisti No Tav, fronteggiati dai carabinieri, radunati intorno alla palestra di via Abegg ad attendere l’assessore regionale. Saitta però è riuscito ad entrare nel luogo dell’incontro senza… farsi troppo notare. Così ai contestatori non è rimasta che qualche azione di disturbo, come urla, ombrelli battuti sui vetri della palestra e altre “espressioni” di dissenso.

E che in parte sia stata un’occasione persa lo riconosce lo stesso Saitta: “Dovrebbe essere chiaro che non stiamo parlando di Tav ma di sanità e che ricondurre ogni questione alla Tav rischia solo di esasperare la radicalizzazione. Il mio sogno è che, in questo territorio, torni il confronto e la serenità”.

Da dove nasce la delibera sugli ospedali


L’assessore prova a spiegare da dove nasce la delibera sulla revisione della rete ospedaliera approvata il 19 novembre dalla Giunta Regionale e integrata il 23 gennaio. “Il sistema sanitario regionale è “fuori” di 350-400 milioni di euro l’anno. E il Piemonte è l’unica Regione del Centro Nord che non ha i conti a posto, siamo come la Sicilia, la Campania, la Calabria. O realizziamo velocemente dei risparmi oppure a fine 2015 non ci saranno più i soldi per tenere in piedi la sanità”.

Ecco allora l’analisi di tutto il sistema sanitario e, in particolare, di quello ospedaliero: “Certo, punti di eccellenza in Piemonte non mancano – dice Saitta – ma in troppe discipline ospedaliere, in troppi reparti, l’attività è bassa”. E il problema non riguarda solo l’aspetto economico-finanziario ma la salute dei cittadini. “Negli anni il sistema ospedaliero piemontese è cresciuto senza controllo, anche per le spinte a creare nuovi primariati. Risultato: troppi reparti con bassa produzione, bassa attività e, quindi, bassa specializzazione, bassa manualità e poca sicurezza per i pazienti”. Di qui l’analisi, ospedale per ospedale, reparto per reparto. E le scelte draconiane che hanno suscitato reazioni un po’ in tutto il Piemonte.

Susa: punto nascite no, ospedale sì

A Susa la discussione e le proteste si sono concentrate sul punto nascite. Questione su cui Saitta non ha alcuna intenzione di fare retromarcia. “La letteratura scientifica è chiara – dice Saitta – e per un punto nascite la soglia minima di sicurezza è 500 parti all’anno. Sotto quel numero ci sono rischi per la salute e Susa si è attestato intorno ai 140 parti. Non si può ignorare questo dato per strumentalizzare la questione e farla diventare una battaglia politica. Trovatemi un solo medico, un solo ginecologo che possa garantire che un reparto che fa cento parti all’anno, cioè uno ogni tre giorni, è sicuro”.

“Lei fa terrorismo psicologico”, interrompe una voce dal pubblico. “No – ribatte Saitta – il confronto deve avere basi scientifiche e su questo la letteratura scientifica non presenta dubbi”.

Quindi sul punto nascite, Susa ci metta una croce sopra. Punto e a capo.

E sul futuro dell’ospedale? “Nessuno ha mai pensato di chiuderlo. Sarebbe da folli”, ha detto Saitta che ha aggiunto: “Non solo l’ospedale resta ma svolgerà un ruolo importante e non sarà ridotto a luogo di lungodegenza”. Perché allora è stato catalogato come “ospedale di area disagiata” e non come “ospedale di territorio”? Risposta dell’assessore: “E’ una questione giuridica. Per definirlo ospedale di territorio avrebbe dovuto avere il nosocomio più vicino ad almeno 90 minuti di percorrenza”. E quindi? “Ecco la definizione di ospedale di area disagiata. Ma di fatto quello di Susa sarà un ospedale di territorio a tutti gli effetti, con medicina, chirurgia, ortopedia, traumatologia e un pronto soccorso h24. Questa è la verità, poi possiamo urlare, alzare cartelli e bandiere, ma la sostanza è questa”.

Ma i sindaci contrari alla delibera regionale hanno annunciato l’intenzione di fare ricorso. “E io al loro posto ci starei attento”, fa presente Saitta. “Perché quando questi argomenti escono dalle stanze della politica per essere affidate a un giudice qualche rischio si corre”. Quale? “Che per esempio, un ricorso nato per tenere in vita un punto nascite in realtà finisca con l’eliminazione degli altri reparti. Con un’interpretazione rigida della normativa, infatti, potrebbe valere il fatto che per gli ospedali di area disagiata è previsto il solo reparto di medicina. Una sentenza rigida quindi potrebbe anche cancellare le altre attività che, sono previste a Susa dalla nostra delibera”. A quel punto l’ospedale di Susa sarebbe a rischio per davvero.

Poi c’è l’altra questione, tutta da scoprire, tutta da inventare. Che è l’assistenza territoriale. “Entro il mese di giugno – dice Saitta – dovremo presentare il piano per l’assistenza territoriale. E qui dovremo trovare le soluzioni per valorizzare al meglio gli ospedali chiusi di Avigliana e Giaveno, per coinvolgere i medici di base, per dotarci di nuovi metodi e strumenti di diagnostica, per raccordarci col sistema dell’assistenza domiciliare. Su questi argomenti verranno dati ai direttori sanitari precisi obiettivi che dovranno raggiungere”. Insomma, il percorso è chiaro: “Passare da una visione antica della sanità, che vedeva l’ospedale al centro di tutto il sistema, a un’offerta innovativa che metta al centro la salute e i bisogni del cittadino”. Per farlo, però, ci sarà bisogno dei sindaci. Venerdì sera in larga parte assenti.

Bruno Andolfatto

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