Tanta Valle di Susa nel libro sulla Resistenza scritto da Aldo Cazzullo
C’è parecchia Valle di Susa nel libro di Aldo Cazzullo “Possa il mio sangue servire. Uomini e donne della Resistenza”, edito da Rizzoli.
Il libro del giornalista del Corriere della Sera, smonta il luogo comune che, nel dopoguerra, ha considerato la Resistenza solo una “cosa di sinistra”: fazzoletto rosso e Bella Ciao.
Cazzullo, in 400 pagine, riprende e ripercorre le vicende che non si trovano (o si trovano raramente) in altri libri. Storie di case che si aprono nella notte, di feriti curati nei pagliai, di ricercati nascosti in cantina, di madri che fanno scudo col loro corpo ai figli e poi le lettere dei condannati, le loro storie, i figli rimasti senza padri, le carni dilaniate dei torturati, le donne maltrattate e abusate.
Vicende raccontate con un ritmo incalzante, che fanno vibrare le corde dell’emotività e dell’indignazione.
Scorrendo il libro troviamo anche la figura di don Francesco Foglia (don Dinamite) e dei partigiani che fecero saltare il ponte dell’Arnodera a Gravere; e poi il ricordo di don Prinetto, il sacerdote morto a Mauthausen, le vicende del Colle del Lys e di Sestriere, la figura di Giulio Bolaffi, il comandante Laghi liberatore di Susa.
Nel capitolo finale (quello che Aldo Cazzullo ha definito una “Spoon River su Facebook”) anche un contributo scritto dal giornalista de La Valsusa Bruno Andolfatto sulla storia di Ilse Schoelzel Manfrino, “la tedesca che salvò dieci ostaggi” a Sant’Antonino. Interprete presso il Comando militare tedesco, Ilse scelse senza esitazioni da che parte stare (non certo quella degli invasori), si adoperò per salvare tanta gente e collaborò attivamente con i partigiani.