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Sui binari della Lampedusa delle nevi

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“Abbiamo attraversato il deserto, siamo stati incarcerati e torturati; poi abbiamo attraversato il mare, rischiando di essere travolti dalle onde e di naufragare. Adesso non abbiamo certo paura del freddo, della neve, della montagna”.  

Paolo Narcisi


Rispondono così i migranti, in larga parte profughi richiedenti asilo, a chi prova a dissuaderli dall’affrontare la via dei monti per arrivare in Francia. Non c’è verso. Loro ci provano lo stesso.

E’ venerdì 5 gennaio; nei pressi della stazione ferroviaria di Bardonecchia operano i volontari che si sono messi in rete per affrontare quella che, con l’arrivo dell’inverno, è diventata un’emergenza quotidiana.

Dall’8 dicembre – spiega il medico torinese Paolo Narcisi abbiamo soccorso quasi 200 persone e tra questi c’erano 27 minori che sono riusciti ad arrivare fin qui, complemente soli”.  

Già, perchè ci sono anche ragazzini di 15 anni tra chi tenta la via dei monti per arrivare in Francia, dopo aver attraversato il deserto, in Africa; essere arrivati in Libia, aver preso la via del mare.  

“Quando gli chiedi da quale centro di accoglienza arrivano, ti rispondono Catania, Taranto, Napoli, Palermo. Arrivano qui, a Bardonecchia, col treno, soprattutto di sera. Non hanno un soldo in tasca e inseguono un sogno”.

E rischiano ancora una volta la pelle. “Il tragitto è pericoloso. Quando le temperature scendono sotto zero, a meno 15, rischiano di morire congelati. E in questi giorni, con tutta la neve che è caduta e le temperature che si sono rialzate, le valanghe vengono giù. E il rischio che qualcuno rimanga sotto è altissimo”.

 
Paolo Narcisi è il responsabile di R@inbow for Africa, un’organizzazione di medici e di sanitari torinesi che, dall’8 dicembre, è a Bardonecchia per prendersi cura dei migranti. Lo fa insieme ai volontari del Soccorso Alpino e Speleologico Piemontese (che ha la sede proprio nella Stazione Ferroviaria) e agli operatori del Soccorso Alpino della Guardia di Finanza; sono gli angeli della montagna, quelli che quando c’è da salvare qualcuno in quota, non se lo fanno dire due volte e partono.
Poi, in questo network del volontariato, si sono aggiunti anche alcuni ragazzi vicini al movimento No Tav, altri del Pulmino Verde (organizzazione di universitari torinesi che si occupa di migranti) e ancora la Diaconia Valdese.
Di fianco alla sede del Soccorso Alpino, in Stazione, c’è anche una saletta che offre ospitalità notturna ai migranti in transito
 

“In 200 sono passati di qui da inizio dicembre – dice ancora Narcisi – ma forse non tutti si sono accorti che i migranti arrivano a Bardonecchia dall’estate”

Un esodo quotidiano, che vede a volte dieci, a volte venti persone transitare ogni giorno e che, dalla metà dell’anno scorso, ha visto circa 800 migranti provare a prendere la via della Francia attraverso il Colle della Scala, che da Bardonecchia porta a Briançon.

Arrivano anche i giornalisti e le troupe televisive; vogliono documentare cosa succede a Bardonecchia che qualcuno paragona, con le debite proporzioni, a una Lampedusa in mezzo alla neve

Perchè se nel Mediterraneo i profughi rischiano di affogare, qui corrono il pericolo di morire di freddo oppure di essere travolti da una valanga. 

Stasera è la volta de La 7, la troupe è quella di Piazza Pulita che sta realizzando un servizio da mandare in onda nella puntata di giovedì 11 gennaio. 

La telecamera si accende, parte il servizio: “Sappiamo che in questo momento in quattro stanno provando a salire la strada verso la Francia”

Guardiamo l’orologio: “Sono le 19.30 ed è tutto buio. C’è la nebbia, la temperatura si è rialzata, la neve è fradicia, il rischio slavine è alto Speriamo che tornino indietro, che capiscano che da lì, stasera, non si può passare. Se non sarà così, partiranno i volontari del Soccorso Alpino…”
 

Tutte le sere, tutti i giorni è la stessa storia. Qualche minuto dopo arriva Silvia Massara. Lei è di Bardonecchia e anche il suo è un aiuto prezioso.
Conferma di averli incontrati lungo la strada, vicino al bivio tra la strada del Colle della Scala e la Valle Stretta: “Abbiamo provato a dissuaderli, li abbiamo pregati di tornare indietro; siamo stati con loro più di un’ora; avevano i piedi immersi nella neve fradicia. Abbiamo provato a di dir loro che lì , in mezzo alla neve, rischiano di morire di freddo o di essere travolti da una valanga. Non c’è stato niente da fare, hanno voluto proseguire”

Migranti nella Stazione di Bardonecchia


“E’ vero riprende Narcisi – questi ragazzi scendono dal treno, si guardano intorno, guardano la montagna ma non hanno la più pallida idea di cosa sia una valanga, la neve che ti cade addosso, ti sommerge e ti imprigiona in una morsa bianca che ti fa morire. Noi proviamo a spiegarlo, a dire loro che cosa sono i geloni, il congelamento delle mani e dei piedi a contatto con la neve”:
 

E loro che dicono? “Ci rispondono che sì, è vero; ma che dall’altra parte, in Francia, c’è mio fratello, mio padre, la mia famiglia, i miei amici. un futuro migliore”.

Che poi non è sempre vero, “perchè pur con tutti i difetti, la legislazione italiana offre una protezione migliore e anche migliori opportunità rispetto alle leggi di altri Paesi”.
 

Il problema è che non lo sanno.  Emanuel Garavello, della diaconia valdese: “Molti di questi ragazzi escono dalla “filiera” dell’accoglienza; stanno settimane nei centri di accoglienza e, in troppi casi, nessuno spiega loro che si tratta solo di aspettare un po’ di tempo per entrare nei programmi. Non conoscono i loro diritti, credono di dover rimanere lì per chissà quanto tempo. E se ne vanno, attraversano l’Italia col mito di andare in Francia (quasi tutti arrivano da paesi francofoni). Vengono a rischiare la vita qui, su questi monti; alcuni ce la fanno a passare ma vengono respinti, visto che il Regolamento di Dublino stabilisce che devono rimanere nel Paese in cui sono arrivati”.
 

“E la Gendarmerie, la Legione Straniera o l’Esercito – aggiunge Paolo Narcisi – li prende; li carica su un pulmino e li “scarica” in Italia”, in un gioco dell’oca drammatico e grottesco che li rispedisce alla casella di partenza (o quasi) a due passi dall’arrivo”.

Emanuel Garavello (diaconia valdese) con un migrante a Bardonecchia

 
Così è ancora Emanuel Garavello ad aspettarli appena scendono dal treno, a Bardonecchia. “Mi faccio raccontare le loro storie – spiega – e cerco di capire se hanno qualche barlume di possibilità di poter andare in Francia. Ma per la maggior parte dei casi si tratta di trovare il modo di farli rientrare nella “catena” dell’accoglienza nel loro paese”.

 
Tra i ragazzi in stazione ce n’è uno del Burkina Faso. Il suo problema? “Tra due giorni mi scade il permesso di soggiorno temporaneo e anche il titolo di viaggio. Domani, sabato, è ancora valido ma domenica non vale più nulla”. Non sa che fare, è smarrito, agitato. Emanuele prova a parlargli, lo calma, lo convince a non partire. Per stanotte si fermerà a Bardonecchia, ci dormirà su e domani vedrà il da farsi.
 

Poi c’è un ragazzo afgano. E’ seduto per terra, nella sala d’attesa della Stazione, accanto al termosifone. Emanuel si avvicina, prova parlargli. I documenti sono in regola, gli è stato riconosciuto lo status di rifugiato. Potrebbe soggiornare per tre mesi in un altro Stato Europeo ma le autorità francesi lo hanno mandato indietro. Il motivo: non aveva il biglietto di ritorno e non ha una prenotazione alberghiera. E poi non ha mezzi di sussistenza (soldi) ritenuti sufficienti. “Storie che si ripetono”, commenta Emanuel. 

A una certa ora la sala d’attesa chiude. I ragazzi che decidono di rimanere e (chissà) di tentare la via della Francia vanno nella sede del Soccorso Alpino. 

Qui incontriamo Carlo Rossetti (Soccorso Alpino e Speologico) e Diego Cantonati (Soccorso Alpino della Finanza). Sono perentori: “Dobbiamo convincerli a non partire, dissuaderli dal tentare la via dei monti. E’ inverno. Vento, ghiaccio, valanghe sono micidiali e possono essere mortali”.

Passa qualche giorno. Mercoledì sera, al telefono è ancora Paolo Narcisi a dircelo: “I volontari del Soccorso Alpino ne hanno soccorso altri sei al Colle della Scala”

Niente da fare, il sogno (o l’illusione) di un futuro migliore è troppo forte.
 

Bruno Andolfatto

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