Condove, vandali per noia
Un fatto tra tanti, una storia di vandalismo che mette a nudo la condizione di tanti giovani. Cosa è accaduto e la riflessione di don Antonello Taccori, responsabile della pastorale giovanile della diocesi di Susa
Il fatto: Cinque ragazzi denunciati per aver distrutto bacheche e vetrine
Un gruppo di giovani e giovanissimi in cerca di emozioni forti nella notte tra il 2 e il 3 febbraio si è reso protagonista di diversi raid vandalici notturni a Condove, in Val di Susa. Risultato finale: rotte le vetrine di alcuni negozi, bacheche dell’Anpi (partigiani) e della Fidas (donatori di sangue) a pezzi e poi autovetture in sosta danneggiate e rigate, intrusioni in garage privati per trafugare estintori e oggetti poi utilizzati per spaccare le vetrine. I ragazzi sono stati identificati dai carabinieri di Condove, grazie alla visione dei sistemi di videosorveglianza di alcuni negozi. Cinque i giovani autori del misfatto, tutti residenti a Condove: tre di loro sono minorenni, mentre gli altri due hanno appena diciotto anni. Le immagini delle telecamere mostrano i ragazzi entrare nei garage, recuperare estintori e birilli giocattolo da un garage privato e poi utilizzarli per vandalizzare il paese. Adesso i cinque giovani dovranno rispondere di danneggiamento aggravato e furto.
Don Antonello Taccori: “Servono più regole umane”
Don Antonello Taccori |
Se c’è un prete che non sta rintanato in Sacrestia e che con i giovani ha un contatto quotidiano, sulle strade e nelle piazze reali e virtuali, questo è don Antonello Taccori, parroco di Villar Focchiardo e San Giorio e, soprattutto, responsabile della Pastorale Giovanile della diocesi di Susa.
Come la mettiamo con questi giovani annoiati, che vincono la noia spaccando tutto? E con le loro famiglie?
Eviterei di buttare la croce addosso ai genitori. Troppo facile giudicare le persone magari stando dietro una tastiera e costruendo gogne mediatiche. Immagino che queste mamme e questi papà siano “spiazzati” dal comportamento dei loro figli e che questo, per loro, sia un momento di sofferenza profonda. A loro, piuttosto, suggerirei di alzare la mano e di chiedere aiuto. In questi casi serve lavorare in sinergia: famiglia, scuola, parrocchia, agenzie educative. Dovremmo tutti ritrovare la forza del villaggio, un po’come in alcune terre d’Africa dove tutti, insieme, da alleati, si fanno carico della questione educativa dei giovani. In valle non siamo abituati più di tanto a episodi così eclatanti. Quello che penso è che siano indicatori di una situazione difficile. Ho l’impressione che ai nostri ragazzi manchi la figura del padre. Cioè di colui che dà le regole, pone i limiti, contiene. Spesso mi sembra che i padri siano diventati un po’ mammoni, in difficoltà nello svolgere questo ruolo. Insomma, sembra quasi che, a volte, i giovani siano lasciati in una condizione di libertà impropria, un po’ abbandonati a sé stessi, che i genitori fatichino a porre loro delle domande, anche le più semplici tipo: come stai? Cosa stai vivendo? Perché hai preso quel voto?
Forse perché si ha il timore di passare per impiccioni?
Porre queste domande, al di là delle risposte che si ottengono (o che non si ottengono) dimostra ai ragazzi che non siamo indifferenti alle loro sorti, che ci interessiamo di loro. Il punto quindi, per i genitori ma non solo per loro, anche per gli insegnanti, per gli animatori, per i responsabili delle società sportive e, diciamolo, anche per i sacerdoti, è il recupero del ruolo di educatori. Capaci anche di dire dei no, se è il caso perché così si insegna ai giovani a fare i conti con la frustrazione, che poi è una cosa con cui spesso ci troviamo a fare i conti nella vita. Dobbiamo insegnare loro che le cose non sono “dovute” ma che vanno conquistate. E non solo le cose materiali o i soldi ma anche la stima e la fiducia. Tutto questo non passa tanto attraverso le parole, i discorsi, le prediche ma con il nostro esempio.
Impresa tanto più difficile se si considera che, mai come oggi, l’esempio non viene certo dall’alto…
Basta guardarsi intorno, sentire il livello (basso) del confronto politico, vedere cosa capita nelle istituzioni. Ma dobbiamo provarci ugualmente. Dobbiamo tornare a credere nel nostro ruolo di educatori. L’uomo per natura ha bisogno di essere educato: tutti nasciamo figli e tutti abbiamo bisogno di genitori che ci indichino cos’è giusto e cosa è sbagliato. Questo è un atto naturale e di amore il cui fine è quello di cercare il meglio nei ragazzi, di scoprire i doni e i talenti che li aiutino a percepirsi come meraviglie di Dio ai loro occhi. L’amorevolezza percepita dal ragazzo aiuta a puntare verso l’alto, verso il meglio perché spinto dal fatto di sapere che è importante per qualcuno”.
Bruno Andolfatto