IL PUNTO. Noi, l’Europa e la politica: poche idee ma ben confuse
Elezioni in Sicilia un anno fa e poi, nel 2019, in Molise, in Sardegna e ora in Basilicata. Consultazioni regionali, certo. Ma dall’inevitabile retrogusto nazionale. Ovunque segnato da una tendenza inequivocabile. Vince, per distacco, la Lega di Salvini perchè è difficile parlare di una cosa che, almeno in apparenza, non esiste più: il centro destra, quello che un tempo era la Casa delle Libertà. Dimezzano i voti rispetto alle politiche di un anno fa gli ex grillini che si giocano la volata per il secondo posto con il redivivo Partito Democratico ex renziano ora zingarettiano.
Le elezioni europee, vero test di sopravvivenza per il governo gialloverde, si avvicinano. Mancano poco più di due mesi al ritorno alle urne di milioni di italiani che, in Piemonte ma non solo, voteranno anche per il presidente e il consiglio regionale oltre che per il sindaco e i consigli regionali.
Un election day tra i più interessanti dove a una certezza, l’ascesa di Salvini (leader della lega e, nel tempo libero, vicepremier e ministro dell’interno), mette in fila, uno dopo l’altro, tanti dubbi e incertezze.
1. Che ne farà Salvini, dopo aver cannibalizzato i voti grillini, della prevedibile dote di voti che quasi di sicuro lo porterà a varcare quota 30%? Lancerà l’Opa definitiva su ciò che resta del vecchio centro destra, un tempo a trazione berlusconiana e tenterà di cambiare definitivamente la locomotiva di quell’area politica mandando definitivamente in pensione Forza Italia ormai ridotta ai minimi termini? E’ probabile che la tentazione sia forte ma perchè l’operazione possa “sfondare” nell’elettorato, Salvini deve rinunciare a qualche estremismo di troppo, ridimensionare i toni, rassicurare un’area elettorale tradizionalmente propensa a votare centro destra soprattutto per una forma di idiosincrasia verso tutto ciò che odora di sinistra; un’area nella quale sopravvivono ancora (sia pure a fatica) valori di umanità, accoglienza, tolleranza, buongusto.
Qualche segnale di una sorta di metamorfosi salviniana pare intravedersi in aspetti puramente esteriori, ad esempio nell’abbandono progressivo di felpe e divise da poliziotto per più istituzionali giacca e cravatta. Subirà la stessa sorte il vezzo di dileggiare gli avversari sul web a favore di una comunicazione più orientata sul politicamente corretto? Lo vedremo dopo le elezioni europee.
2. Sul piano della tenuta del governo gialloverde un ruolo primario avrà l’esigenza di mantenere in ordine i conti dell’azienda Italia, messi a dura prova dall’esigenza di mantenere, sia pure in minima parte, le costose promesse elettorali che spinsero nel 2018 Lega e Cinque Stelle ad affermarsi. Come rastrellare i soldi per evitare che scattino le clausole di salvaguardia, aumento dell’Iva su tutto, in un Paese nel quale (proprio in corrispondenza dell’avvento al potere del trio Di Maio – Salvini – Conte) la crescita dell’economia è vicina allo zero e potrebbe anche scendere sottozero?
Servirà a qualcosa additare vecchi “nemici” (l’Europa, gli immigrati) o inventarne di nuovi per far digerire pillole che potrebbero risultare parecchio amare per i cittadini?
O la strategia sarà quella di favorire – sotto traccia, secondo un copione che ha già funzionato almeno una volta (i nomi di Dini e Monti dicono qualcosa?) – l’avvento di un governo tecnico che si appelli ai “responsabili” per risanare la situazione per poi, una volta sistemati conti, attaccare di nuovo la diligenza con i vecchi e collaudati refrain contro i premier “non eletti dal popolo” e tornare così al potere?
3 – … e il Pd? Già il Pd. Passato un anno da cellula “in sonno”, dopo le primarie sembra essere tornato di moda. Gruppi editoriali e giornalisti da prima serata tv e del primo pomeriggio domenicale, che erano soliti attaccarlo durante l’epoca renziana, sono diventati molto più teneri e benevoli non appena le chiavi della ditta sono tornate nel possesso degli esponenti di quel che un tempo era il Pci-Pds-Ds. Nulla di male, sia chiaro, ma può ritenersi autenticamente “democratico” un partito che va in fibrillazione ogni qualvolta il ruolo guida degli eredi della tradizione delle botteghe oscure viene contesa o sottratta da chi è figlio di altre famiglie (cattolici democratici, liberal democratici, ambientalisti…)?
E poi, delle due l’una: o il Pd prosegue sulla via della “vocazione maggioritaria” (messa a dura prova da un Paese e da un elettorato che ama il frazionamento e le divisioni) oppure sceglie la via delle alleanze. Ma con chi? Con quel che resta dei grillini orientati a sinistra? Difficile anche solo pensarlo. E come? Riesumando le “fabbriche del programma” che riuniscono decine di sigle (dai No Tutto al partito dei Pensionati) e che partoriscono voluminosi documenti programmatici capaci di dire tutto e il contrario di tutto come avvenne nel 2006?
4 – Uno sguardo europeo. Trattando di consultazioni europee (torneremo poi sul tema delle Regionali) è paradossale dirlo ma è esattamente quello che manca. A parte il tentativo di Calenda di guardare oltre le Alpi e al di là del mare e la formazione +Europa di Emma Bonino, la politica italiana rimane confinata negli angusti confini nazionali e nelle beghe da ballatoio. Le velleità cinesi pentastellate di Di Maio non convincono e si ridurranno probabilmente a qualche sacco di arance caricato sui voli verso Pechino mentre la Lega vuole far fronte comune con i sovranisti al governo in Paesi a parole “alleati” ma pronti a cazziare l’Italia a ogni Finanziaria visionaria dei gialloverdi.
Questo mentre il Pd a trazione zingarettiana non ce l’ha fatta a gettare il cuore oltre l’ostacolo e ha nicchiato di fronte alla proposta di dar vita a un’alleanza di sano sapore europeista capace di contrapporsi alle forze sovranpopuliste.
I risultati? Li sapremo il 27 giugno. E sarà importante capire che cosa capiterà nel vecchio continente per poi attrezzarci a cambiare qualcosa in casa nostra.