Migranti

La triste storia di Abdo, uno dei nostri ragazzi

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Il silenzio, il rispetto per una giovane vita spezzata, la preghiera sarebbero le azioni migliori. Ma la storia di Abdo Solayman, il ragazzo ghanese deceduto nel pomeriggio di domenica 16 giugno nel Lago Grande di Avigliana è una di quelle vicende che gridano e che rischiano di far confondere il “dire niente” con l’indifferenza se non con la complicità verso un contesto segnato da stereotipi che diventano pregiudizi e slogan che grondano “cattivismo” e razzismo.

Abdo Solayman aveva solo 15 anni e non aveva nulla di diverso dai nostri figli, dai nostri ragazzi, colore della pelle e provenienza a parte. 

Bene hanno fatto alcune persone coinvolte nel progetto di microaccoglienza diffusa della valle a organizzare questa mattina, giovedì 20 alle 10.30 a Salbertrand (polivalente di piazza Martiri Libertà 4) un momento di commemorazione di Solayman.

La storia di Solayman è stata ben raccontata da Ludovico Poletto su La Stampa di martedì 18. 
Proprio la sera prima Poletto aveva chiamato anche un  redattore del settimanale La Valsusa per avere qualche riferimento, così da raccontare una vicenda fino a quel momento avvolta da un silenzio quasi totale. 

Da buon vecchio cronista ce l’ha fatta, coniugando le esigenze del “mestiere”, senza rinunciare alla sensibilità e all’umanità. Così Poletto racconta che “Abdo era nato d’aprile, il giorno 14, in un villaggio del Ghana. Anno 2003, ultimo di una infilata di fratelli , alcuni rimasti a casa, altri sparsi in giro per il mondo”. E che la sua morte nel lago di Avigliana, suona quasi come una beffa “per chi come lui ha attraversato mezzo mondo per arrivare – bambino – dall’Africa all’Europa. Un luogo di pace assoluta per chi ha affrontato deserto e l’acqua nera del mare su un barcone, viaggiando di notte magari aggrappato ad un adulto cheforse – non sapeva neanche chi era. Abdo sai nuotare? «Sì certo”.

Poletto racconta la storia di un ragazzo con un sogno, che dalle arsure del Ghana aveva trovato casa, famiglia e amici in val di Susa. «Un minore», per le carte che raccontano la sua storia di profugo, di migrante bambino arrivato da solo. “Abdo era bravo. Studiava. Parlava bene l’italiano. Frequentava i corsi di approfondimento pomeridiani alla scuola media. Il suo sogno era diventare italiano. Giocava bene a pallone, ricordano in paese. Ma non voleva essere Dybala. Eppure se gli mettevi un pallone al piede – dicono – ci sapeva fare. Giocava a Bussoleno, in una squadra di migranti, partite su partite che servivano per le selezioni dell’Africa’s Cup, un torneo di dilettanti da tutti i paesi del mondo, che si gioca a Torino”

Abdo era questo e tanto altro ancora. Abdo era uno di noi. 

Una persona come noi, che in classifica non sta dietro né prima di noi. 

Ciao Abdo. Ti salutiamo con la frase del Gianni Brera, uno che sul pallone che nche tu amavi prendere a calci ne capiva parecchio: “Ti sia lieve la terra”.

BRUNO ANDOLFATTO

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