cronaca

Parla Nosiglia: “Susa è come Torino. E’ una diocesi piccola? Non importa”

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L’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, è salito per la prima volta mercoledì 16 ottobre a Susa. Da pochi giorni il Papa l’ha nominato Amministratore Apostolico della Diocesi alpina. Ecco la sua prima intervista rilasciata nei locali della redazione de La Valsusa.

Monsignor Nosiglia, che cosa sa della valle di Susa?

In realtà non so molto. So che è una bellissima valle, a me piace molto la montagna e sono contento di andare a trovare comunità parrocchiali alpine. Ma lo ammetto: ho poca conoscenza specifica del territorio. Conosco un po’ la zona di Cesana, perché ci sono andato quasi tutti gli anni verso Natale con i giovani della diocesi che facevano qui tre giorni di ritiro. Quindi conosco quella zona…

Ci può anticipare quali saranno le sue prime mosse in questa diocesi?

Prima del mio ingresso, che avverrà il 27, farò alcuni incontri. Giovedì 17 sarò a Susa per incontrare i sacerdoti della diocesi nel loro ritiro mensile. Poi nei prossimi giorni incontrerò i giovani e i migranti; andrò all’ospedale di Susa per visitare gli ammalati e salirò in alta valle per andare a trovare un sacerdote molto anziano che è ancora parroco, don Gaetano Bellissima. Sarà il modo per esprimere riconoscenza a lui e a tutti i preti anziani per quello che hanno fatto e che continuano a fare. Quindi i primi incontri saranno con gli ammalati, i poveri, gli immigrati, i sacerdoti. Dedicherò anche alcune giornate da trascorrere con i sacerdoti delle zone dell’alta, della media e della bassa valle di Susa: farò pranzo con loro, trascorreremo un po’ di tempo insieme e cercherò anche di avere un incontro personale con ciascun sacerdote. Sento anche forte il bisogno di sostenere le famiglie che soffrono di più la crisi e la mancanza di lavoro e che spesso incontrano sul loro cammino difficoltà, conflitti e divisioni. Nelle famiglie ci sono anche tante potenzialità che vorrei valorizzare al massimo. Vorrei ascoltare molto i preti ma soprattutto la gente. Chiunque voglia venirmi a parlare potrà farlo, ovviamente mettendosi d’accordo col mio segretario.

Veniamo all’immigrazione. Oltre che occuparsi concretamente dei migranti, cosa può fare un vescovo per agire sulle coscienze della gente, per arginare l’odio

verso lo straniero, i pregiudizi, l’intolleranza e il razzismo che a volte albergano anche nel cuore della nostra gente?

Cerchiamo di fare il possibile, ma il retroterra delle comunità in cui operiamo spesso fa fatica a seguirci. A Torino, e penso anche qui, di solito la gente è generosa e accogliente, ma non mancano espressioni negative, pregiudizi, frasi sbagliate come “ma questi qua cosa vogliono… sono venuti a rubarci il lavoro”.

L’impegno del vescovo è quello di far crescere una cultura, una mentalità e stili di vita improntati sull’accoglienza. Ma la nostra opera non può essere solo quella di dare un posto per dormire e qualche pasto; dobbiamo attuare un progetto che renda autonome queste persone.

Questione Tav. E’ difficile trovare dei punti di dialogo e anche la Chiesa locale è stata attraversata dal problema. Cosa si può fare?

Io non mi schiero da una parte né dall’altra. Cercherò di favorire il dialogo e il rispetto vicendevole. Le posizioni possono essere diverse ma siamo in un’unica valle e dobbiamo stare insieme e aiutarci. Sono disposto a incontrare i No Tav e Sì Tav anche per capire meglio la situazione. Sono convinto che la valle di Susa non possa essere considerata solo una valle di passaggio e debba valorizzata nelle sue bellezze paesaggistiche e l’ambiente debba essere salvaguardato. E che occorra tenere conto delle anche osservazioni di coloro che sono contrari; in fondo non tutto quello che dicono è sbagliato soprattutto dal punto di vista ambientale. La chiesa può fare la sua parte per favorire il dialogo e per il superamento delle contrapposizioni.

Certo, la vicenda Tav ha diviso le persone, le famiglie, le stesse comunità. Non crede che, usando un termine a noi caro, ci sia bisogno di riconciliazione in questa valle?

Sì. e potremmo attivare un anno della riconciliazione, un po’ come il Papa a suo tempo promosse l’anno della Misericordia. Non sarebbe una cattiva idea farlo proprio come Chiesa locale, magari il prossimo anno. Dovremo pensarci seriamente. Non è un’idea sbagliata…

Che cosa ha pensato quando il Papa le ha affidato una diocesi piccola come la nostra?

Intanto ho pensato che è una diocesi. A Torino ci sono Unità Pastorali che hanno più abitanti della valle di Susa. Barriera di Milano, per esempio, ne ha 99 mila. Ma non posso considerare la Valle come una Unità Pastorale. E’ una diocesi con la sua storia, la sua tradizione, la sua identità, la sua ricchezza sociale, umana e religiosa che va rispettata. Le radici ci sono e sono attuali. Poi si potrà vedere quali possibilità di incontro ci sono tra le due chiese. Ad esempio sulla pastorale giovanile e su altri percorsi dovremo lavorare e camminare insieme. Ma considero Susa una diocesi esattamente come quella di Torino. E’ piccola? Non importa. Deve essere rispettata. sostenuta e riconosciuta.

Quindi non siamo di fronte a un’annessione.

No, no… assolutamente no. Un vescovo con due diocesi non è molto diverso da un parroco con due o più parrocchie.Anzi è come un padre che ha due figli, uno più grande e l’altro più piccolo. E può capitare che al più piccolo si diano più attenzioni che a quello grande…

BRUNO ANDOLFATTO

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