Storia locale

25 aprile: la storia di Ilse

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Bologna, 1931. Lei ha 17 anni, si chiama Ilse Schöelzel, tedesca, è la prima ballerina del Balletto dell’Opera di Dresda. Lui è Vittorio Manfrino, di anni ne ha 31, arriva da Torino, è un attore, capocomico della Compagnia che porta il suo nome. Entrambi sono in tournèe e non ci vuole molto perché tra la ballerina tedesca e l’attore italiano scocchi la scintilla dell’amore.
I due si sposano il 28 ottobre  1932 a Roma nella chiesa di S.Andrea delle Fratte. Lei lascia la Germania, la danza e da luterana diventa cattolica. Lavora a fianco di Vittorio, in giro per i teatri della penisola, dell’Europa e non solo. Hanno un figlio, che però muore all’età di 3 mesi e una figlia, Giovanna.
Nel 1940 l’Italia entra in guerra; Vittorio è costretto a sciogliere la Compagnia Teatrale formata da una ventina di persone tra ballerini e attori.
Vittorio e Ilse vivono a Torino, ma i bombardamenti continui rendono la città sempre più pericolosa e meno sicura. Nell’autunno del 1942 i due, con la piccola Giovanna, sfollano in valle di Susa; arrivano a Sant’Antonino e da qui salgono lungo la strada carrozzabile che si inerpica per un chilometro sulla montagna fino alla piccola, graziosa, frazione Cresto.
Vivono in una casa accogliente e semplice. Vittorio non rinuncia del tutto a recitare e segue le truppe al fronte proponendo spettacoli teatrali. La paga è buona, il rischio alto.
Ilse rimane con la figlia Giovanna nella casetta accogliente del Cresto.
Arriva  l’8 settembre del ’43. L’armistizio, l’illusione che la guerra sia finita, il capovolgimento del fronte, la disfatta dell’esercito italiano, lo smarrimento, i tedeschi che invadono l’Italia.  Tirare avanti è dura e Ilse lavora a Torino, presso il Comando tedesco dove fa l’interprete e la segretaria.
Celeste Cantore, comandante partigiano, ricorda: “Già prima che arrivassero i tedeschi lei andava a lavorare a Torino, distante 35 km, andava e tornava in bicicletta. Poi la chiamarono a lavorare al Comando tedesco”.
Ilse potrebbe far finta di nulla, ignorare ciò che capita intorno a lei. Invece, con l’aiuto di un medico, il dottor Salina – che aveva il compito di segnalare ai tedeschi gli invalidi al lavoro – riesce ad evitare la deportazione di molte persone.  E trova anche il tempo  di mantenere viva la relazione con il marito Vittorio. I due si scrivono ogni giorno.
I venti mesi dell’occupazione nazista trascorrono in una “normale” esistenza a contatto quotidiano con il rischio. Ilse sceglie da che parte stare (e non è certo quella degli invasori), protegge e salva molte persone, si adopera per aiutare la popolazione. Però deve stare attenta, in guardia. Un errore, una parola sbagliata, una “soffiata” le potrebbe costare carissima.  Capisce e sa parlare il l’italiano e il tedesco; e spesso viene chiamata a fare da interprete tra le opposte fazioni, tra i partigiani e i soldati tedeschi.
Affronta situazioni pericolose. “Se l’è sempre cavata e sapeva come sbrigarsela – racconta Celeste Cantore –  mettendo in campo anche le sue doti di attrice”. Come quella volta che sale sulle montagne di Condove, per accompagnare il cugino del marito, Giovanni Manfrino (medico), chiamato a curare un partigiano con una gamba rotta. Al ritorno incrociano una pattuglia di tedeschi in perlustrazione. Bisogna inventarsi qualcosa. I due si mettono a fare un pic nic sull’erba, scherzando amabilmente e parlando in piemontese. I soldati ci cascano e passarono oltre.
Un’altra volta a casa sua, al Cresto, riesce a nascondere in cantina i partigiani appena scesi dal soprastante Colle Bione che le chiedono ospitalità e a intrattenere in cucina, i soldati tedeschi che, di passaggio, decidono di passare a trovarla.
Un altro episodio lo racconta la figlia Giovanna: “Un giorno arriva a casa nostra una suora, Suor Luciana. Mia mamma era a letto con la febbre molto alta. La suora le chiede di andare recarsi a Susa e di testimoniare a favore di un uomo, messo sotto accusa dai tedeschi. La suora prende una coperta e avvolge mia mamma. Salgono su un carro e percorrono più di venti chilometri. Mia mamma testimonia a favore dell’accusato, salvandolo”.
I tedeschi di tutto questo non s’accorgono di nulla. Anzi, continuano a percepire Ilse come una di loro. Così lei può permettersi non solo di “intercedere”  per salvare persone catturate, ma anche di passare informazioni utili ai partigiani.
Una volta alla settimana i tedeschi passavano davanti a casa mia per andare al cinema –  racconta un’altra concittadina di Ilse, Graziella Colombino – ; i soldati camminavano in fila, allineati, cantando. E Ilse era in prima fila, con sua figlia, vicino al Comandante. Dietro di loro, gli altri soldati.”. I tedeschi non sono mai sfiorati dal sospetto che lei collabori con i partigiani: “L’avessero saputo – aggiunge Graziella Colombino – l’avrebbero di certo fucilata. Lei ne era consapevole, ma rischiava lo stesso. E quando aveva notizie su qualche rastrellamento informava subito i partigiani”.
Lo ha testimoniato Armando Rossetto Casel , deceduto nel 2007, sindaco del paese dal 1970 al 1989. Durante gli anni della Resistenza Rossetto Casel faceva parte dei Gap, i Gruppo Armati Patriottici. “Operavamo in paese e tenevamo d’occhio i tedeschi. Uno di noi, nel ’43, aveva preso contatto con Ilse  riferendoci che era disponibile a collaborare con noi. All’inizio eravamo un po’ dubbiosi. Sapevamo che era una brava persona, Ma dovevamo capire  se potevamo davvero fidarci, bisognava fugare ogni dubbio. Le parlammo e lei dimostrò grande  sincerità e disponibilità. Decidemmo di fidarci”.
Nel maggio del 1944 Ilse, con l’allora parroco don Bonaudo, tenta di intervenire per salvare 17 partigiani. Ma il tentativo non va a buon fine e i 17 giovani vengono fucilati nel vecchio cimitero, dove oggi ci sono i campi da tennis.
La sua mediazione, invece, è determinante nell’autunno del ’44. Due giovani uccidono un portalettere tedesco privandolo della pistola e di 30 mila lire. Qualche giorno dopo i tedeschi intimano di consegnare dieci ostaggi e minacciano di mettere a ferro e fuoco il paese. Ilse media tra le parti. Alla fine i  volontari vengono trovati e la questione si risolve senza spargimento di sangue.
Un’altra volta si adopera  per aiutare una famiglia ebrea, rifugiata al Cresto.  “Una donna stava male – racconta Celeste Cantore –  e portarla all’ospedale era rischioso. Ilse fece venire al Cresto un medico tedesco, che la operò”.
Sono le cinque del pomeriggio del 29 aprile del 1945. La guerra è finita. Ilse, con il vice parroco don Oreste Cantore e il direttore della Magnadyne (fabbrica di radio e poi, dagli anni ’60, di televisori), vanno al Comando tedesco per chiedere di abbandonare il paese. Consegnano una lettera del CLN  con la quale li si intima di “ritirarsi verso Torino”.
E’ la figlia Giovanna a raccontare quelle ore: “I tedeschi chiesero a loro tre di mettersi in mezzo alla strada, tenendoli sotto tiro. Non lontano c’erano dei cadaveri, non so se di partigiani o di tedeschi. Le manovre durarono due ore; se fosse partito un colpo dalla montagna quei tre poveretti (compresa mia madre) ne avrebbero pagato le conseguenze”
Terminata la guerra, la vita di Ilse Schölzel torna alla… normalità. Lei e il marito Vittorio rientrano nel giro dello spettacolo. Vittorio interpreta personaggi buffi e caricature come quella del prof La Barba, del clown “Lacrima” in “Tutti in pista”. Recita in “Cronaca di un amore” e ne “La signora senza camelie” di Michelangelo Antonioni. Compare anche nella celebre scena de “Il Gattopardo” di Luchino Visconti.
Il 21 maggio del 1969 Vittorio muore. Ilse rimane sola. Tira avanti con la pensione del marito, ottiene qualche particina negli sceneggiati televisivi, nel cinema e nel teatro. Gli anni passano e ancora oggi molti, in paese, ricordano questa nonna sprint che sfreccia con il suo “Ciao” lungo le vie.
Alla vigilia di Natale del 1978 Ilse si spegne.  Nel suo ultimo viaggio, verso il cimitero, i partigiani che lei aiutò negli anni della Resistenza la accompagnano portando la bara sulle loro spalle.
Oggi, Ilse è ricordata a S.Antonino, proprio nel “suo” Cresto dove vive  figlia Giovanna e dove c’è un Parco a lei intitolato
Bruno Andolfatto


Le testimonianze di Celeste Cantore, Armando Rossetto Casel, Graziella Colombino sono raccolte nel Quaderno n. 8 dell’Università della Terza Età di S.Antonino: “Ilse Schölzel Manfrino. Una vita di spontaneo coraggio” . Settembre 2004. Premessa di Giorgio Calcagno. Scritti di Giovanna Fossati, Piero Del Vecchio, Bruno Andolfatto

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