Franco e Adriana, più forti del Coronavirus
Chi ha un po’ di memoria storica e ha seguito le vicende sindacali valsusine non può dimenticare Franco Aloia, leader sindacale di spessore nazionale e non solo. Era il 1985 o giù di lì. Segretario Generale della Fim Cisl (metalmeccanici) di Torino, anziché contrattare contropartite e contrappesi decise di ‘scendere’ un bel po’ di piani del palazzo sindacale (allora in via Barbaroux) e di tornare a fare il ‘soldato semplice’ (semplice operatore sindacale) in Valle di Susa.
Protagonista di tante battaglie, Aloia è poi tornato a rivestire un ruolo importante nella Fim, risalendo uno per volta i piani dell’organizzazione fino ad arrivare a far parte della segreteria nazionale. Poi la pensione. Tranquilla? Fino a un certo punto.
A spiegarlo è la penna di Mario Calabresi, già direttore di Repubblica e La Stampa, nel suo sito mariocalabresi.com e sulla sua pagina FB (rubrica #altrestorie).
È il 5 marzo di quest’anno, racconta Calabresi, ‘ e, come ogni giorno da sei anni, Franco si presenta alle otto e trenta all’ingresso della Rsa dove è ricoverata Adriana. Quella mattina, però, ha un vassoietto di pasticcini alla crema chantilly, servono per festeggiare il loro 54° anniversario di matrimonio. Si sono sposati nel 1966, viaggio di nozze con la 500 in Spagna, poi tre figlie in dieci anni. Non gli permettono di entrare, è appena arrivato l’ordine di liberare al più presto la struttura da parenti, amici, badanti, non può rimanere nessun estraneo: ‘Ma io sapevo che non potevo lasciarla sola, Adriana è malata di Alzheimer dal 2004 e se non ci sono io viene invasa dalla paura, non mangia e si lascia andare. Cerco subito il direttore sanitario e gli chiedo di ricoverare anche me. È una richiesta difficile, resistono, ma io insisto, lo tempesto di telefonate. Dopo due giorni il direttore mi richiama: “Le ho messo un letto accanto a sua moglie, ma sappia che una volta entrato non potrà più uscire”. Così Franco si auto-reclude nella Rsa di sua moglie, che in poche settimane si sarebbe trasformata in un focolaio di Covid-19’.
A metà aprile arriva il picco dell’epidemia. Franco ha una brutta tosse secca, poi la febbre. Arriva il 25 aprile, l’altro anniversario: quello del giorno in cui si sono conosciuti nel 1961, la febbre di Franco arriva a 40. Lo portano alle Molinette: positivo al coronavirus con polmonite bilaterale. Mentre entra in ospedale è pieno di paure: ‘A riempirmi di angoscia non era la mia fine, ma il fatto di non potermi prendere cura di Adriana’. Lei smette di mangiare, cinque giorni dopo ha la febbre alta, Viene ricoverata nello stesso ospedale di Franco ma non nello stesso reparto. Comincia il dramma. Lei è abituata a mangiare solo con il marito o con le figlie, ma l’ospedale non può permetterne l’ingresso. Adriana rifiuta il cibo, tiene gli occhi chiusi. Dopo otto giorni le figlie ricevono una telefonata dell’ospedale in cui capiscono che devono prepararsi al peggio.
4 maggio, si libera il letto accanto a Franco, il suo vicino è guarito. “E lì hanno deciso di riunirci e hanno fatto il miracolo. Ho visto entrare Adriana, non ci potevo credere, mi sono tolto la mascherina e le ho parlato. Avevo una mousse di mele sul comodino, l’ha mangiata subito’. Un’ora dopo Adriana stava mangiando: mezzo riso e un budino intero. Il giorno successivo una cena completa: passato di verdura, metà secondo e un altro budino. Ora è tranquilla. Franco rimane supportato dall’ossigenazione ad alti flussi per un’altra settimana, perché ha ancora numerosi focolai nei polmoni, ma, felice, riesce a fare una videochiamata alle figlie per mostrare loro la nuova vicina di letto.
Sabato 16 il risultato del tampone dice che Adriana si è negativizzata. Franco no. Ma in ospedale hanno deciso di lasciarli comunque insieme. “Adesso le posso stare vicino, le tengo la mano e sentiamo la musica, lei è felice e io anche». Domenica si è affacciato alla finestra della loro stanza per salutare le figlie”.
Davvero una bella storia. Protagonista un amico della Valle di Susa e la sua compagna di vita. E un grazie a Mario Calabresi per averla raccontata così bene.
BRUNO ANDOLFATTO