L’immigrazione cambia volto e segue la “rotta balcanica”
Paolo Narcisi e don Luigi Chiampo raccontano cosa succede in valle
La prima emergenza risale all’autunno inverno 2017-2018. I luoghi? La cittadina e le montagne di Bardonecchia. Dai treni scendevano a piccoli gruppi i rifugiati provenienti dai vari centri d’Italia, teoricamente deputati ad accoglierli. L’obiettivo: la Francia. Per arrivarci, nei primi giorni, provavano addirittura a entrare e camminare dentro il tunnel ferroviario del Frejus, rischiando di essere travolti. Poi la galleria è stata pattugliata, con tanto di militari sul lato italiano. E allora i migranti si sono messi a provare il passaggio sui valichi, ormai innevati, spesso di notte a sfidare il freddo e la gendarmerie francese che, appena passato il confine, provava a ricacciarli indietro spesso riuscendoci. Così a Bardonecchia è arrivata Rainbow For Africa, l’organizzazione guidata dal medico torinese
Paolo Narcisi che, con l’aiuto dei volontari di diverse organizzazioni (Soccorso Alpino, Caritas, Croce Rossa, Diaconia Valdese solo per citarne qualcuna) è riuscito a mettere in piedi un Pronto Soccorso umanitario che, come primo obiettivo, ha quello di curare, assistere, salvare le persone. Poi il raggio di azione si è spostato. Dalla piccola sede di Bardonecchia, la macchina dei soccorsi si è spostata a Oulx, in un edificio che i salesiani hanno donato alla parrocchia e che è stato trasformato in un centro di accoglienza, gestito da don Luigi Chiampo per conto della fondazione Talita Kum.
Il motivo? Semplice. Da qui si può dare un occhio sia al versante di Bardonecchia, al Colle della Scala e alla Valle Stretta, sia a quello del Monginevro, altra via percorsa dai migranti nei tentativi di arrivare oltralpe.
L’attività è continua ma l’immigrazione cambia. “ E ‘vero – annuisce Paolo Narcisi -, ora a prevalere non sono più i rifugiati che arrivano dall’Africa sub sahariana con gli sbarchi. Quelli ci sono ancora, per carità. Ma in maggioranza arrivano migranti che percorrono la “rotta balcanica”, dalla Turchia fino alla Croazia, poi a Trieste per poi arrivare da noi e tentare il passaggio in Francia”. Un percorso difficile, lungo mesi, doloroso dove non si rischia di affogare ma di rimanere invischiati in un labirinto e di essere oggetto delle attenzioni non proprio umanitarie delle varie “Polizie”. “Così qui capita di curare persone con fratture e lesioni varie, provocate dai manganelli. E pare che a distinguersi in questo senso siamo i croati”. Un flusso migratorio, quello della rotta balcanica, fortemente condizionato dalle scelte del presidente turco Erdogan. E’ lui che apre e chiude i rubinetti su quella rotta, usando i profughi come arma nei confronti dell’occidente a cui chiede soldi per limitare i flussi.
Così a Oulx non arrivano più piccoli gruppetti e persone singole ma, aggiunge don Luigi Chiampo, “famiglie con minori e, spesso, donne in gravidanza, affaticate e sofferenti per questo viaggio”.
Il Centro di accoglienza di Oulx, potenzialmente, può ospitare, nelle notti, fino a 25 persone ma la capacità, dall’inizio della pandemia Covid 19, si è alquanto ridimensionata.
“Ora poi, ai due operatori che tengono aperto dalle 19 alle 9 del mattino – spiega don Chiampo – se ne aggiunge un altro che consentirà di aprire anche nelle ore diurne dalle 10 alle 15”.
Una situazione che fa i conti con la minacciata chiusura del Rifugio di Briançon. Senza la sponda francese, infatti, si rischia un “effetto tappo” e un aumento della pressione sull’alta valle di Susa.
“La media degli arrivi – spiega don Chiampo – ora è di 15-20 persone al giorno. Spesso sono facce nuove ma non manca chi torna da noi dopo essere stato respinto dalle forze di polizia francesi”. Una situazione che rischia di ripetersi ancor di più se oltralpe non saranno individuate soluzioni alternative.
Di più. Con l’inverno in arrivo i problemi rischiano di complicarsi ulteriormente.
Sempre a Oulx, lungo la Statale 24, c’è un altro centro di accoglienza; quello gestito dagli “antagonisti” che, dopo lo “sfratto” dal sottochiesa di Claviere si sono trasferiti in una vecchia casa cantoniera. “Con questa realtà – ammette Paolo Narcisi –
non è sempre stato facile rapportarsi per via di una certa difficoltà a rapportarsi col mondo del volontariato e con le istituzioni. Devo però ammettere che questi giovani hanno fatto un grande lavoro; hanno aiutato e assistito tante persone e, negli ultimi tempi, hanno dimostrato maggior propensione alla collaborazione”.
In ogni caso “il nostro compito – precisa Narcisi – è un po’ quello di un’ambulanza che interviene in un incidente. Non siamo chiamati a stabilire torti e ragioni ma a soccorrere, assistere, curare le persone. Noi vediamo il fenomeno, interveniamo per evitare che i migranti si facciano male, che camminino di notte nella neve e a parecchi gradi sotto zero. E quando lo fanno e si mettono nei guai interveniamo per curarli e aiutarli”.
Ma cercate volontari? “Beh, se c’è qualche operatore sanitario della zona che desidera aiutarci è ben accolto”.
Bruno Andolfatto