Allontanamenti zero”. Uno slogan che ha ispirato il disegno di legge, presentato un anno fa dall’assessore regionale Chiara Caucino con l’obiettivo di ridurre se non proprio di eliminare del tutto i provvedimenti che allontanano bambini e ragazzi da famiglie ove sono presenti gravi carenze educative e incuria, abusi e maltrattamenti, problemi psichiatrici e dipendenze.
La tesi sostenuta dall’assessore è che in Piemonte accadano troppi allontanamenti facili e che, spesso, alla base dei provvedimenti ci siano i problemi economici della famiglia di origine.
Tesi confutata dai gruppi di minoranza del consiglio regionale (Partito Democratico, Moderati, Liberi e Uguali, 5Stelle) che, dopo 12 mesi di indagine conoscitiva sulla tutela dei minori in Piemonte, hanno messo nero su bianco la loro relazione.
Per Monica Canalis, consigliera regionale Pd, “ le evidenze scientifiche che emergono dall’audizione di professionisti ed esperti in varie discipline mettono in luce che in Piemonte non esistono ‘allontanamenti facili’. E a dirlo sono i numeri”.
In tutto il Piemonte al 31 dicembre risultavano in carico ai servizi sociali piemontesi 60.068 minori, il 9% della popolazione minorile; il 96,44% era seguito in famiglia e fuori famiglia il restante 3,56%.
“Il sistema piemontese quindi dà priorità ai progetti di accompagnamento al disagio minorile all’interno della famiglia di origine e cerca di sostenere i genitori che fanno più fatica”, sostiene Canalis.. Di più; tra i minori seguiti “fuori” dalla famiglia, il 58,17% era riconducibile a minori stranieri non accompagnati, ad affidamenti intrafamiliari fino al quarto grado di parentela e ad affidamenti con il consenso della famiglia di origine del minore. Gli allontanamenti giudiziali dalla famiglia riguardavano il restante 41,83%, circa 1086 minori.
Anche tra i minori valsusini presi in carico dal Consorzio Conisa nel 2018, l’89% era oggetto di interventi e progetti di accompagnamento e supporto attuati con il coinvolgimento del nucleo famigliare, senza, quindi, essere allontanato dai genitori. Allontanamenti che, invece, riguardavano l’11% dei casi seguiti: “Una scelta dolorosa– faceva presente un anno fa il presidente del Conisa Paolo De Marchis – presa dopo aver esaminato a fondo la particolare gravità della situazione e che, comunque, in molti casi, prevede forme di rientro nel nucleo famigliare”.
Insomma, riprende Monica Canalis, “i servizi sociali e l’autorità giudiziaria privilegiano, come previsto dalla legge, l’accompagnamento in famiglia dei minori in difficoltà. E quando le condizioni costringono a seguirli fuori dalla famiglia, lo si fa cercando il consenso della famiglia stessa e, se possibile, cercando risorse tra i parenti. E’ quindi del tutto improprio e scorretto parlare di giudici e assistenti sociali che cercano di strappare i bambini alle famiglie”.
Poi certo, gli allontanamenti ci sono “ma non avvengono mai per le ristrettezze economiche dei genitori. Le cause sono di altra natura e ben più gravi”. Insomma, l’allontanamento è l’estrema ratio quando non vi sono altre alternative: “ semmai il problema è che troppo spesso arriva tardi, quando il trauma fisico e psicologico nel minore è ormai troppo profondo ed è quindi difficile da rimediare e da curare”.
E la colpa di chi è, degli operatori?
“No di certo – spiega Canalis -; in Piemonte il sistema socio assistenziale non è malato ma è affaticato. Gli operatori sociali e sanitari, gli psicologi, gli insegnanti e gli educatori si trovano con una mole eccessiva di lavoro, sono sovraccarichi e non sempre riescono ad arrivare in tempo quando è necessario mettere in protezione il minore. Non possiamo quindi parlare di allontanamenti e affidi facili; semmai di interventi tardivi”.
Poi ci sono le nuove emergenze.
“Negli ultimi anni sono emerse altre variabili come le separazioni conflittuali (che non sono certi prerogativa dei poveri); le situazioni di difficoltà relazionali, le povertà di carattere culturale (non economica); le situazioni di disagio psichico, le dipendenze. E sono soprattutto questi i fattori che incidono sugli allontanamenti, non la mera povertà economica”.
Quindi? “Servono proposte operative e noi le abbiamo avanzate nella nostra relazione. Non serve a nulla, anzi è dannoso denigrare il lavoro faticoso, svolto spesso in condizioni al limite, da assistenti sociali , psicologi, neuropsichiatri infantili, educatori e operatori dei tribunali. Bisogna lavorare per rafforzare le capacità genitoriali delle famiglie più vulnerabili, rafforzare i servizi sociali sanitari ed educativi, coinvolgere gli insegnanti e le scuole nella segnalazione delle situazioni di disagio dei minori”.
E, last but not least, le riforme (come le nozze) non si fanno con i fichi secchi ma con le risorse. “Non basta dire: lasciamo i bambini in famiglia; per poter aiutare i genitori e ridurre il numero di allontanamenti sono necessari – sostengono le minoranze del consiglio regionale – più assistenti sociali, più educatori, più psicologi, più neuropsichiatri infantili e anche più progetti specifici. Ma per poter fare tutto questo bisogna stanziare fondi. Cosa che il disegno di legge ‘allontanamento zero’ si guarda bene dal fare