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Giovani della Valsusa accanto ai senzatetto, “nostri fratelli di strada”

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E’ successo nella mattinata del 4 febbraio, in pieno centro, a Torino.

Sette senzatetto vengono allontanati dai luoghi dove erano abituati a stare (in via Cernaia, via Viotti, piazza Castello, corso Vinzaglio). L’intervento, fa sapere la Questura, è eseguito dagli agenti del commissariato di zona, col supporto della polizia locale, ‘a seguito di esposti presentati da cittadini in riferimento a situazioni di degrado e irregolarità’. Tre senzatetto, irregolari sul territorio nazionale, sono accompagnati in questura. Gli altri identificati e allontanati dai giacigli di fortuna per liberare gli spazi dalle masserizie. In alcuni casi intervengono i netturbini per la sanificazione dei luoghi. Gli oggetti che i senzatetto non riescono portare con loro sono caricati su un camioncino per finire verosimilmente all’inceneritore. Fin qui la cronaca nuda e cruda dei fatti.

Seguono le prese di posizione. Come quella che vede intervenire insieme Gruppo Abele, Rainbow for Africa e Arci: “In nome del decoro delle piazze e dei portici del centro, con l’unico obiettivo di rendere invisibili le situazioni di più grave povertà agli occhi della città, si sta calpestando la dignità dei più fragili, di chi, sotto quei portici e in quelle piazze, è costretto a vivere e contraddice la tradizione solidale di una città come Torino”.


Dal centro della città al cuore della Valle di Susa. Villar Focchiardo, per la precisione, da dove tutti i sabati sera, da cinque anni, parte un pulmino con un gruppo di volontari guidati da don Antonello Taccori, parroco del paese, responsabile della pastorale giovanile valsusina, impegnato su vari fronti a favore di chi è ai margini della società. Destinazione: Torino centro. Missione: portare sollievo, aiuto, generi di conforto ai “senzatetto”.

Una definizione che non piace a don Antonello e ai volontari: “Non ci piacciono le etichette; un tempo li chiamavano ‘barboni’, poi ‘clochard’ (termine francese alquanto dispregiativo) ma noi preferiamo chiamarli ‘fratelli di strada’”.

Dopo la Messa delle 18, un panino e via, si parte con il pulmino – carico di giacche, coperte, indumenti intimi, prodotti per l’igiene e per farsi la barba e poi panini, bottiglie d’acqua. “Quando arriviamo alle porte di Torino recitiamo il Rosario. Arriviamo sul luogo, scendiamo per cercare questi fratelli che vivono in strada e cerchiamo di aiutarli”.

Ma, lo sgombero di giovedì ha avuto qualche effetto?

“Guarda, ho letto e sentito qualcosa ma in realtà non è che sia cambiato molto. I fratelli di strada erano lì, come sempre e non mi parevano messi peggio del solito”. Poi certo “capisco anche che ci siano proteste per queste presenze e che, ogni tanto qualche fratello di strada si… allarghi un po’ ma di solito evitano il ‘salotto di Torino’ in via Roma, anzi cercano di stare nei dintorni; li troviamo soprattutto in piazza Statuto, in Corso Vinzaglio, qualche volta nei dintorni di piazza Castello e poi in via Nizza, via Sacchi, Porta Nuova. Cercano tranquillità per riposare e non vogliono certo dare fastidio”.


I volontari girano corsi e vie della città dalle otto e un quarto di sera fino all’una e mezzo-due. “A volte dormono e noi non li svegliamo. Cerchiamo di capire se hanno bisogno di qualcosa; lasciamo una coperta, un panino, qualcosa da bere. A volte parliamo un po’ con loro, raccogliamo le loro storie ma non abbiamo tanto tempo perché ci sono altri da aiutare”.

Ma chi sono questi fratelli di strada? “C’è un po’ di tutto. Giovani che fanno fatica a inserirsi nella società e stanno ai margini, persone che hanno avuto gravi difficoltà economiche e non hanno saputo risollevarsi, tossicodipendenti e alcolisti, famiglie rom, migranti dall’Africa che hanno terminato il percorso di inserimento nelle cooperativa ai quali però è mancato il “trampolino di lancio” verso un lavoro. Poi ci sono persone vittime della povertà ‘di testa’, culturale che proprio non ce la fanno”.

Il gruppo dei volontari viaggia con la parola d’ordine “primerear”, neologismo spagnolo utilizzato da Papa Francesco per indicare la chiesa in uscita, che esce dalle sagrestie per andare incontro alle persone, ai poveri, agli ultimi. Ed è un po’ ad… assetto variabile, nel senso che accanto ad alcune colonne (come Pio, Pasqualina, Gianna, Anna) ci sono gruppi che si alternano in questo servizio; come i clan dei gruppi scout e delle parrocchie. “Un’esperienza utile, formativa, che aiuta a buttare giù i muri dei pregiudizi; un servizio per niente semplice, anzi faticoso. Per farlo occorre vincere anche sensazioni ‘sgradevoli’”.

Un esempio? “Gli odori intensi che si percepiscono che poi sono quelli che don Oreste Benzi definiva ‘il profumo degli angeli’. Di certo è un incontro diretto con la povertà che, però, spesso si sposa con la dignità di queste persone, di questi nostri fratelli di strada”.

Bruno Andolfatto

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