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Cent’anni fa nasceva don Cantore

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Don Oreste Cantore è stato uno di quegli uomini capaci di costruire e di fare in modo che ciò che era stato fatto non se ne andasse con lui. E’ una virtù dei carismatici e degli umili allo stesso tempo.

Quest’anno avrebbe compiuto 100 anni Dunca, e le iniziative sembrano quasi l’occasione per richiamarlo in quei luoghi nei quali ha lasciato il segno: la Casa Alpina di Bessen Haut, la Caritas, l’Azione Cattolica, le parrocchie, Susa, le scuole, il seminario, le carceri, tanto per citarne alcuni. Le cronache dicono che a don Cantore non piacesse particolarmente farsi fotografare, ma tutte le immagini che ci sono state restituite dal tempo lo ritraggono sempre in mezzo ad un capannello di persone che tendenzialmente sorridevano di gusto.

Questo perché don Cantore era un uomo di spirito, nel senso che aveva un’innata simpatia ma anche una profonda spiritualità, due doti capaci di catalizzare le attenzioni e la fiducia delle persone, e poi, con loro, fare grandi cose.

Dunca nasce nel 1921 a Chiusa San Michele; nel 1936 si trasferisce con la famiglia a Sant’Antonino dove il papà ha la panetteria. Ordinato sacerdote nel ‘44, nella stessa estate si offre in ostaggio per evitare rappresaglie da parte dei nazifascisti in seguito all’uccisione di un militare tedesco e interrompe la sua prima celebrazione alla Chiusa per intervenire durante un rastrellamento improvviso in paese.

Nel ‘49 è vicerettore del seminario di Susa; dal ‘45 al ‘48 va a fare il parroco a Rollieres, una località impervia che però sa rendere viva, aprendo la casa parrocchiale a sede per le vacanze dei seminaristi.

Dal 1957 all’81 è, tra alterne parentesi, insegnante nelle scuole medie e superiori di Susa e centinaia di allievi apprezzano la grande capacità didattica ma anche l’empatia che sa creare con loro. In quegli anni rivitalizza la GIAC e prende forma il progetto della casa alpina Giovanni XXIII di Bessen Haut (non certo una intitolazione a caso negli anni del post Concilio e che all’epoca fece anche storcere alcuni nasi) e fonda la corale Rocciamelone concretizzando le sue doti musicali; d’altronde nomen omen…

Dal ‘69 al ‘75 è parroco di Sant’Antonino, paese che ancora oggi è permeato di segni che riportano a quel sacerdote tanto amato. Qui si occupa con dedizione e forza degli immigrati e dei poveri collaborando con le istituzioni locali. Un ministero che mise in piena luce il suo entusiasmo, la sua inventiva, il suo coraggio apostolico, il suo spirito di adattamento a situazioni sempre nuove ed imprevedibili.

Nel 1975 l’inatteso ritorno a Susa dove mons. Garneri lo richiama come rettore del seminario. E don Cantore, fedele all’obbedienza, lascia la sua parrocchia e le sue iniziative e fece ritorno a Susa per guidare verso la meta gli aspiranti al sacerdozio; un compito difficile, ricco di imprevisti, che don Cantore porta avanti fino al 1989.

Nel 1978 è chiamato a reggere la Caritas diocesana ed è proprio in questo ruolo che compone il suo capolavoro di carità. Non é certo nuovo a questo tipo di esperienze; é infatti già allenato dalla missione di cappellano del locale carcere mandamentale, e dall’ascolto e servizio ai poveri e agli immigrati, in particolare marocchini e albanesi. Per loro don Cantore è l’incarnazione della provvidenza e con l’aiuto di molti volontari don Cantore trova in questa nuova espressione di azione caritativa il suo congeniale

campo di apostolato. E’ il periodo dell’arrivo in diocesi degli extracomunitari e, in seguito della colonia albanese. Don Cantore diviene per loro come un padre con l’intento di ridare dignità a persone in cerca di nuove opportunità.

Nel 1987 gli viene affidato l’ufficio di canonico penitenziere della cattedrale e questo offre alla sua azione apostolica un e fertile campo di missione.

Il quantitativo di valsusini che l’hanno conosciuto personalmente è veramente alto, ognuno ne serba un ricordo, ognuno ha un aneddoto che lo riguardi o ha stampato nella mente il suo fare aperto e generoso, personificazione di quel Concilio che ridava nuovo slancio alla Chiesa.

Lo stesso che don Cantore ha dato alla diocesi di Susa che, per esempio, ancora oggi, grazie a lui, apre le porte ai campi estivi a Bessen, riunisce i coristi della corale Rocciamelone, è attenta agli ultimi e alle nuove migrazioni.

Don Cantore quest’anno avrebbe compiuto 100 anni e sarebbe stato bello festeggiarlo restituendogli un po’ di quelle caramelle e di quei “vizi ” che elargiva sempre con generosità ai suoi ragazzi e ai suoi parrocchiani.

Ma ora, lui che era uomo e sacerdote buono, vive dove non esiste il tempo e dove vengono accolti “i santi della porta accanto”.

Anna Olivero

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