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Don Marabotto “Tevere Tre”, SACERDOTE e CAPO PARTIGIANO a Thures (Cesana)

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Leggere “Un prete in galera”, il libro di memorie di don Giuseppe Marabotto, sacerdote e maestro nella borgata Thures (Cesana Torinese) è come entrare dentro un film. E’ il classico libro che ti prende, ti coinvolge, ti scaraventa in quei fatti che però… attenzione: sono capitati per davvero.

A togliere il libro da un immeritato dimenticatoio ci ha pensato la Fondazione Donat-Cattin che ha collaborato alla ripubblicazione del volume, la cui prima edizione uscì nel 1953 per i tipi di Ghibaudo. La riedizione di “Un prete in galera” di don Giuseppe Marabotto, edita dalla Tipografia Baima-Ronchetti, è stata presentata giovedì 20 aprile alle 17:30 a Torino, nella sala didattica del Polo del ‘900 in via del Carmine 14.

Nel suo libro autobiografico, don Marabotto ripercorre gli anni della Resistenza e, per sua stessa ammissione, dichiara di non essersi mai interessato attivamente alla politica prima del 1943. La svolta arriva con i fatti seguenti all’8 settembre ma più ancora con l’Eccidio di Boves a cui don Marabotto dedica l’ultima parte del libro insieme ad altri fatti tragici degli anni della Resistenza; fu quella, scrive il sacerdote, “la scossa decisiva che mi tolse dall’inerzia. Da allora decisi fermamente che avrei dedicato ogni energia a ostacolare in tutti i modi possibili l’opera nefasta dei fascisti e dei tedeschi e per arrivare a questo non c’era che un’unica via: essere partigiano!”.

Ma come e perché don Marabotto (nato a Villanova Mondovì il 19 dicembre 1912) giunse a Thures, in alta valle di Susa?

“Era una mattinata freddissima del novembre 1943 e nevicava quando salii sul treno a Porta Nuova per recarmi a fare scuola in un paesetto di alta montagna”. Thures di Cesana, appunto. “Non conoscevo altro che il nome della località sprovvista di insegnante elementare”.

La storia comincia lì, dal viaggio avventuroso per arrivare a Thures. E prosegue con la permanenza altrettanto avventurosa sui monti; a esercitare il ministero sacerdotale, a insegnare e a fare il partigiano col nome di battaglia “Tevere Tre”.

Don Marabotto, si sposta in lungo e in largo e dirige un servizio segreto di controspionaggio.

Le pagine del libro scorrono veloci e raccontano quel lungo inverno in montagna, tra la fine del 1943 e i primi mesi del 1944. Non mancano le imprese, piccole e grandi.

Le munizioni trafugate nella Casa Littoria

Una tra tutte restituisce la cifra e il coraggio dell’uomo.

“Un giorno mi prese il desiderio di ficcare il naso nella Casa Littoria di Ulzio. Avevo la scusa della direzione didattica che parecchi mesi prima aveva sede nella Casa” che, in quel momento era presidiata dal corpo di guardia fascista.

Don Marabotto chiede di parlare col direttore. I fascisti cascano dalle nuvole: “Quale direttore? Ci sarà stato in passato, ora non c’è proprio più nessuno. Può provare a vedere all’ultimo piano”. Don Marabotto non se lo fa dire due volte. Sale e nota che nei ripiani, ad ogni svolta delle scale, ci sono mitraglie leggere e pacchetti di munizioni da moschetto.

Il prete bussa alla porta della direzione ma nessuno risponde. Allora scende e, lungo le scale, arraffa un bel po’ di munizioni e se le mette in tasca. Saluta fingendosi perfino arrabbiato per non aver trovato il direttore didattico e se ne va. Poi, una volta al sicuro consegna le munizioni ai partigiani. “Mi presi dell’imprudente – racconta nel libro – e fui rimbrottato che non era necessario fare queste bravate”.

L’arresto e le torture

Arriva il 26 giugno 1944 ed è un giorno drammatico. Don Marabotto viene arrestato a Cesana, probabilmente a causa di una soffiata, c’è chi dice proveniente da … ambienti a lui vicini. Per il sacerdote inizia un lungo calvario. Trattenuto a Cesana viene sottoposto a torture indicibili, da lui raccontate nei dettagli. Assiste anche all’uccisione della giovane staffetta partigiana Maria Teresa Gorlier che, dopo essere stata torturata, si getta dalla finestra di Casa “Incis”; la giovane, a terra, ha una gamba spezzata ma il sadico sergente Basaglia non esita a freddarla a colpi di mitra.

La condanna a morte mai eseguita

Don Marabotto viene poi trasferito in via Asti a Torino, dove subisce altri lunghi, terribili interrogatori. Il sacerdote ricorda come sia stata la preghiera ad aiutarlo a sopportare l’enorme tensione psicologica e a non tradire i suoi compagni. Poco dopo viene condannato a morte e trasferito nel ‘buco’, la cella di punizione destinata alla sua ultima notte. Ma la fucilazione viene rinviata e Marabotto trascorre altri dieci giorni di prigionia. Durante questo periodo cambia il suo nome di battaglia in Ramon e ricomincia a svolgere la sua attività antifascista dall’interno del carcere grazie all’aiuto del fedele luogotenente Bill che fa giungere i suoi messaggi ai partigiani.

La Liberazione

Nel 1945, miracolosamente scampato all’esecuzione capitale, esce dal carcere e si unisce alla Liberazione di Torino. Qualche anno dopo inizia la stesura del libro; una preziosa testimonianza dell’impegno del clero nella Resistena italiana.
Bruno Andolfatto

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