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Il Grillo e il Giaguaro, alleati per forza

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Di analisi si muore. 
Lo dice la saggezza popolare che suggerisce di non fermarsi alla diagnosi ma di azzardare una terapia per evitare la morte del malato. E qui il malato, signori miei, si chiama Italia. Fin troppo chiaro. 

Anni e anni di autoreferenzialità di un sistema politico chiuso, di partiti e personaggi che hanno quasi sempre anteposto il bene della propria parte, dei propri interessi (di partito ma anche anche personali) hanno prodotto questo tsunami elettorale. 

Già tsunami. Che è il “titolo” usato da Grillo per il suo tour elettorale nelle piazze di tutta Italia, Susa compresa. Occhio però. Chiediamoci che cosa lascia lo tsunami una volta che è passato: allagamenti, case travolte, vittime, distruzione.
Perchè è questa la realtà con cui dobbiamo fare i conti: rimuovere le macerie, curare le vittime (se ci sono) e ricostruire. 

Perchè, in effetti, più che Grillo, il vero tsunami l’han provocato anni di malgoverno. E il paradosso di un leader (Berlusconi) che nel 2008 aveva una maggioranza blindata, mai vista prima. Che aveva l’occasione per dimostrarsi quel che mai è si è rivelato: uno statista. E che l’ha buttata al vento per rincorrere altro (e non solo le gonnelle); che di fronte a una crisi economica epocale ha pensato che il modo migliore di affrontarla fosse quello di negarla portando così l’Italia sull’orlo del baratro. 

E poi? Poi è arrivato Monti, ha messo i conti a posto non senza provocare ingiustizie (una per tutte quella degli esodati) e ulteriori diseguaglianze. Un periodo in cui Bersani e il suo partito hanno “dato il sangue” mentre Berlusconi si è nascosto, è quasi sparito fino a quando ha ritenuto di “staccare” la spina. 

Da lì in poi è stato gioco facile individuare in Monti il capro espiatorio, il responsabile di tutti i guai.
 
Operazione, va detto,  aiutata dalla memoria corta di una parte consistente di cittadini che si è fatta di nuovo ammaliare dal pifferaio di Arcore. .

Adesso lo tsunami (non solo quello di Grillo) è passato. L’onda ha travolto tutto. E si fanno i conti delle macerie.
Occorre un sopralluogo sul luogo del disastro. Che cosa va costruito o ricostruito? A chi tocca costruire? Su quali fondamenta? Dove prendiamo i mattoni? Come costruiamo gli argini per difendere il nostro Paese e la sua economia dal “rischio Grecia”?

Intanto c’è da insediare il nuovo Parlamento, da eleggere i nuovi presidenti di Camera e Senato, da scegliere il nuovo presidente della Repubblica, da formare il nuovo Governo. Appuntamenti dettati non dalla fantasia di qualcuno ma dall’agenda di quella cosa che si chiama Costituzione.
Di fronte a queste scadenze ciascuno deve mettere in gioco non il proprio talento artistico di showman ma una dote chiamata RESPONSABILITA’. Sperando che ce ne sia ancora un po’ da qualche parte.
Ciascuna forza politica, ciascun leader, ciascun eletto oggi più che mai deve sapere che a ogni voto ottenuto corrisponde un impegno. Tanti voti = tanta responsabilità. Non si scappa. I “vaffa”, i “mandiamoli tutti a casa” adesso sono parole al vento. Gli slogan e le promesse non servono più, le battute da avanspettacolo e gli smacchiatori neppure. Bisogna guardare la realtà, dire la verità ai cittadini-elettori senza dare l’illusione che vi siano soluzioni semplici a problemi complessi.

Di che cosa c’è bisogno? Ovvio, di un governo che governi. E di un Parlamento che diventi la sede per fare finalmente le riforme.
 
Partendo dalle cose che dovevano esser fatte da un anno a questa parte: riforma della legge elettorale, riordino delle Province e del sistema degli enti locali, revisione del cosiddetto bicameralismo perfetto con la trasformazione del Senato in Camera delle Regioni; taglio dei costi della politica a partire dal vertice e non dalla base (c’è stato il taglio delle comunità montane, dei consiglieri comunali dei piccoli centri, ma il numero e gli stipendi di deputati, senatori, consiglieri regionali e provinciali è rimasto inalterato), risoluzione del conflitto di interessi (anzi, dei tanti conflitti di interessi). 

E poi un occhio, anzi due, all’economia. Non possiamo rinchiuderci nel nostro “villaggio felice”. Uno perchè felice proprio non è; due perchè, come nessun uomo è un isola, oggi più che mai nessun Paese è può fare da solo. L’interdipendenza, la globalizzazione sono realtà come il sole, la pioggia, la neve, il vento, la terra. Non basta inveire per cancellarle. Occorre affrontarle nella loro complessità.
 
Si vuol fare un referendum sull’euro e sulla permanenza nell’Unione Europea? Lo si faccia. Ma si abbia anche l’onestà di spiegare bene ai cittadini che cosa comporterebbe per l’Italia (e per tutti noi) l’uscita dall’Europa. Quali sarebbero i costi economici e sociali, a cosa andremmo incontro.
 
Il tempo degli slogan, delle invettive e delle promesse è finito. Adesso bisogna decidere che cosa fare e chi lo fa. Dall’incasinatissimo quadro politico venuto fuori dalle urne l’unica strada possibile é quella di una collaborazione tra il Partito Democratico, forza di maggioranza relativa (sia pur di poco) e il Movimento 5 Stelle.
Un accordo Pd – PdL servirebbe forse a tirare a campare per un po’ di tempo; forse scongiurerebbe il tracollo borsistico, e non solo, delle società del Cavaliere (il vero incubo di Berlusconi insieme alle grane giudiziarie); probabilmente metterebbe altro fieno nella cascina propagandistica di Grillo.
 
Proprio il verbo “governare” sembra, in questi giorni, l’unica azione che l’ex comico ligure vede come un amaro calice da allontanare. Molto meglio, molto più comodo, molto più appagante aizzare le piazze. Molto peggio, molto più scomodo, molto meno gratificante assumersi le proprie responsabilità. 

Di qui gli insulti a Bersani (“morto che parla”) che sembrano nascondere un’implorazione: non rivolgerti a me, vai da quell’altro, da quello cattivo, fai il governo con lui, così posso demolirvi entrambi tra un anno nelle urne. Frasi che danno credibilità al sospetto un po’ paradossale che il primo a temere “il botto” elettorale del 5Stelle, in realtà, fosse lo stesso Grillo. A dimostrarlo c’è il silenzio, quasi la prostrazione (che non pareva soltanto stanchezza fisica) che lo accompagnato nelle prime ore dopo i risultati. 

Bersani e Grillo insomma. Grillo e Giaguaro. Pd e 5 Stelle insieme.

L’alternativa? Le urne, un altro periodo di campagna elettorale insostenibile. Con uno spettro: l’Italia sempre più lontana dall’Europa, l’orlo del precipizio che si riavvicina. E quella parola: il default. Vogliamo evitarlo?

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