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VERSO IL PROCESSO AI 45 NO TAV. TORNANO GLI ANNI ”70 IN SALSA ANARCHICA

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Massimo Passamani

UN linguaggio stile anni ’70 con qualche spruzzatina di anarchia. A scrivere é uno dei principali imputati del processo contro 45 No Tav per gli scontri dell’estate scorsa in Val di Susa che si aprirà il 21 novembre a Torino. 

“Uno dei processi più importanti contro il conflitto sociale di questo paese, perché é evidente che attraverso l’opposizione al Tav si vuole colpire ogni forma di resistenza e di autorganizzazione”. Ad affermarlo  é Massimo Passamani, l’esponente anarchico di Rovereto arrestato lo scorso 27 agosto dalla Digos di Trento per associazione sovversiva, in una lettera di sue “considerazioni” pubblicata su alcuni siti vicini al movimento di opposizione alla Torino-Lione.

Passamani attacca il procuratore capo di Torino: “Che sia una figura come Caselli il titolare dell’inchiesta é indicativo. Un magistrato di sinistra, un servitore dello Stato democratico accanito come pochi altri contro la generazione che negli anni Settanta tentò l’assalto al cielo rivoluzionario. Non é certo un movimento come quello No Tav a farsi impressionare dalle mostrine dell’ “antimafia” – prosegue – avendo sperimentato sulla propria pelle come Stato e mafia siano in un rapporto di simbiosi mutualistica”. 

“Ciò che è giusto lo decidiamo noi, non i tribunali”
 
Poi torna a parlare del processo che “ci riguarda tutti”. Secondo Passamani “il movimento No Tav ha raggiunto la consapevolezza che ciò che é giusto e ciò che é legale non coincidono; che anche noi, come altri prima di noi, lungo un crinale di bosco e di storia, dobbiamo operare una scelta: tornarcene a casa perché é legge” oppure batterci perché “é giusto’’. E per l’esponente anarchico quello che é successo la scorsa estate in Valle “era giusto”. “Di chi é quella mano, chi ha lanciato quel sasso ecc. sono faccende di giudici e di avvocati. Ciò che deve unire tutti, al di là delle scelte processuali, é il rifiuto di subordinare quello che riteniamo giusto al codice penale e ai tribunali”.

“Da questo punto di vista – specifica – non hanno ragione di esistere le polemiche rispetto alle diverse scelte processuali. Ricorrere o meno alla difesa tecnica non sposta il terreno del conflitto, che é la giustezza della lotta No Tav nel suo insieme, lotta che il processo intende colpire”. Infatti “difendersi o meno ha che fare con le diverse valutazioni che ognuno dà – scrive Passamani – se é opportuno che ci sia un minimo di accordo sulla condotta pratica in aula (per evitare episodi spiacevoli di incomprensione), il terreno comune non sono le specifiche arringhe degli avvocati, ma la chiara rivendicazione della lotta No Tav”.
Ma “la posta in gioco – spiega Passamani – va al di là della lotta No Tav, soprattutto se inseriamo questo processo nel suo contesto più generale”. “Il senso del giusto – conclude – lo custodiamo lontano dai tribunali, in luoghi che non si possono perquisire né rinchiudere: i nostri cuori”.

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