Il pane di Claudio Cantore ha conquistato la California
E’ di qualche settimana fa, domenica 24 giugno, la festa per i cent’anni del Panificio Cantore a S.Antonino. Una festa semplice e commovente, attraversata dal ricordo di Fabio, figlio di Giorgio e Rosy Cantore, scomparso l’anno scorso in un incidente con la sua moto. Ad aprire quella giornata fu una telefonata dalla California, con il saluto di Claudio, fratello di Giorgio.
Proprio con Claudio, nei giorni scorsi, abbiamo aperto un canale alla ricerca di santantoninesi e valsusini sparsi nel mondo. Vogliamo raccontare la loro storia e immaginare la terra su cui vivono come se fosse un… angolo di Valsusa.
Un gioco? Forse, ma piuttosto serio a cui volentieri si è prestato Claudio Cantore che, in una mail, ha ripercorso quella che lui stesso definisce “la mia storia negli Stati Uniti”.
“Era il dicembre del 1974 – ricorda Claudio Cantore – quando partii da Sant’Antonino per la California. Mia moglie Gayle e mia figlia Jody mi avevano preceduto di un paio di mesi mentre io sono rimasto a terminare le ultime faccende per chiudere casa e lavoro”. Prima tappa, San Francisco “dove trovai lavoro in una panetteria industriale. C’erano panettieri di tutte le parti del mondo: Spagna, Messico, Germania, Russia, Polonia e di altre nazioni, “strane” ma interessanti,per me, venticinquenne, appena arrivato da un paesino italiano tra le Alpi”.
Passa un anno. E Claudio trova “un lavoro più interessante e meglio pagato, sempre nel mondo del pane e sempre con compagni di lavoro provenienti da tutte le parti del mondo”. Già, perché questa e l’America: “Qui si trovano tutte le nazionalità possibili e si impara a conoscere le usanze e i costumi di tutti”.
Arriviamo al 1977. Da San Francisco la famiglia Cantore si sposta a Monterey, due ore più a sud, nel centro della California: “Vado a lavorare in una pasticceria panetteria, proprietà di lontani cugini lontani di mia moglie Gayle. Siamo a Carmel un paese sull’Oceano Pacifico a un chilometro e mezzo da Monterey”. Trascorrono altri due anni: “Vengo interpellato da due dottori, uno in biologia marina e l’altro in medicina, che avevano intenzione di aprire una panetteria. Non era insolito a quei tempi che professionisti di diversi campi volessero investire e sostenere attività economiche diverse dai settori nei quali avevano studiato per anni all’università. Cosi’ mi impiegarono prima come consulente prima e come manager e panettiere”. Un periodo interessante e movimentato nel quale “imparai molto. Nei diciotto anni in quella Compagnia (la Montrrey Baking) ho viaggiato tantissimo, e non solo in California: da Eurika (all’estremo nord) fino a San Diego (all’estremo sud) e poi a Los Angeles, Palm Springs, San José e poi in.Nevada (a Las Vegas), nel Texas, in Missouri,nel Kansas, nel Colorado, a New York, Washington”.
Poi il salto di qualità. “Con l’aiuto di mia moglie Gayle mettiamo da parte i soldi necessari per acquistare i macchinari. E, grazie all’esperienza maturata, nel 1990 apriamo le porte della nostra attività: la “Claudio’s Speciality Breads”. Da qui pian pianino andiamo avanti fino ad avere una piccola industria che vede impegnati, oltre a me, mia moglie Gayle, mia figla Jody e, suo marito Dario, quindici dipendenti. Il prodotto principale e il pane ma produciamo anche grissini piemontesi, e qualche cosa un po’ stravagante come coccinelle con tanto di ali rosse e punticini bianchi, fiori colorati, lumachine da servire su insalate molto speciali come crostini. Tutto in pasta di pane”.
Perché nel 1974 Claudio se ne è andato in America? Risposta.“Mia moglie Gayle, figlia di italiani ma nata e vissuta in America, era tanto triste; le mancava la sua famiglia. Per me non é stato facile e ho trovato duro, soprattutto all’inizio. Ma dopo tutti questi anni non ho rimpianti, ho imparato molto e sono contento, anche il Parkinson mi tormenta. Certo, mi manca la mia famiglia e mi manca l’Italia. E però mi sento molto piu’ “Patriota”qui’ all’estero che mai! Non ho rimpianti,e quando Fabio mio nipote era venuto a trovarci sono stato tanto felice di fargli vedere che cosa siamo stati capaci di fare qui negli U.S.A. Io, con la mia famiglia e in special modo i miei nipotini Madeline di 12 anni e Nicholas di 9. E’ stato felice ed orgoglioso come me. E da quello che ho potuto vedere, gli italiani nel mondo sono uno dei popoli più intelligenti e ben voluti. In fin dei conti ci vuole cosi poco per farsi voler bene”
Bruno Andolfatto