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S.Antonino, i ricordi di Renato Falchero: artigliere e partigiano, combattè su più fronti

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Renato Falchero, quand’era giovane soldato

Se n’è andato, negli ultimi giorni di giugno, alla ragguardevole età di 94 anni. Renato Falchero era una persona molto conosciuta e stimata a S.Antonino. Attento e acuto osservatore della vita del paese, almeno fino a quando le sue condizioni di salute glielo hanno permesso, Renato Falchero aveva vissuto, come molti suoi coetanei, le vicende tristi e dolorose della guerra. Avvenimenti di cui non parlava volentieri. Così come non amava vantarsi dei suoi trascorsi tra le fila dei partigiani. Aveva accetto di parlarne con noi, de La Valsusa, nel 2003, per rievocare i giorni drammatici dell’armistizio dell’8 settembre 1943. 
Prima di quei giorni, Falchero di guerre ne aveva combattute due: prima ai confini con la Francia, nel 1940; poi addirittura in Croazia. Quindi il ritorno in Italia, il congedo, la cattura da parte dei tedeschi dopo l’8 settembre e la salita in montagna a fianco dei partigiani. “Tutto cominciò nel marzo del 1940 – raccontava Falchero –  quando venni chiamato alle armi e assegnato al 5° Reggimento Artiglieria, Divisione Superga, gruppo sommeggiato”.
La prima guerra fu contro i francesi: “Prima a Bardonecchia, anzi a Melezet. Poi con l’inizio delle ostilità su, in punta a Valle Stretta”. Ma quella (come tante altre) non fu una guerra gloriosa e terminò con un armistizio: “Proprio il giorno della fine delle ostilità con i francesi, ero lì, con il  pezzo carico, pronto a sparare… ma arrivò l’ordine del cessate il fuoco”. 
Falchero con i compagni d’arme scese a Oulx, quindi a Venaria; da qui venne fatto nuovamente salire a Oulx. Dopo la Francia, la Croazia: “Un bel giorno ci caricarono su un treno, con i muli e le armi e spediti in Croazia. Fu un periodo terribile, dovevamo fronteggiare i partigiani croati. Ricordo che non riuscii a dormire nemmeno una notte sotto un tetto, sempre per terra e, quando andava bene, sotto la tenda… una vita da cani”
Dopo sei mesi il ritorno a Venaria: “Mi andò abbastanza bene. Prima della guerra lavoravo nel dinamitificio, allora presentai domanda d’esonero che ottenni. Dopo un arrivò il congedo”. Falchero ritorna al Dinamitificio, dove riprende a lavorare. Lì lo sorprende l’8 settembre del ’43. “Verso la fine dell’anno – racconta – arrivano i tedeschi. Erano andati alle Ferriere ma non avevano trovato nessuno. In fabbrica eravamo in 22, ci hanno portato al carcere delle Nuove. E’ stato il dottor Carrà, allora direttore dello stabilimento, a sbloccare la situazione, trattando con i tedeschi”. Ma quando tornai a casa mi dissi: “Adesso non mi beccate più. E salii in montagna, con i partigiani della 42° Brigata Garibaldi. Comandante era Eugenio Fassino, il padre di Piero”. Che dire? “La mia scelta l’ho fatta. Ho combattuto la Resistenza, ho creduto che quella fosse la scelta giusta, sono riuscito a portare a casa la pelle, ma non voglio essere considerato un eroe”.Così era Renato. Uomo concreto, cordiale generoso, che però concedeva poco o nulla alla retorica. Con lui se ne va un pezzo di storia del paese.
Bruno Andolfatto

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