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Rapelli e la “dura terra” della ritirata di Russia. Il diario del reduce scomparso a 94 anni

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“E’ disponibile nelle librerie il diario del santantoninese Mario Rapelli, sopravvissuto alla ritirata di Russia nel lontano inverno del 1942-1943 e mancato soltanto nel mese di luglio scorso all’età di 94 anni. “Apriti dura terra!” è una pubblicazione che ha avuto il patrocinio dell’Associazione Combattenti e Reduci valsusina, sezione di Condove e Borgone . Mario era un telegrafista sul Fronte russo e a 20 anni si è visto passare davanti la tragedia che ha segnato in modo irreversibile le sorti della seconda guerra mondiale.

“E’ la Storia che si lega alle tante storie di uomini comuni che possono essere considerati i nostri nonni spirituali, dai quali attingere esempi di vita; spezzoni d’esistenza quotidiana a cui noi, per fortuna, non siamo stati abituati” ha scritto nella prefazione il presidente dell’Associazione Combattenti Emiliano Leccese “il diario si sviluppa tra i momenti di vita ordinaria di un soldato che, per ruolo, non era in prima linea, ai momenti di tragica tensione, di sofferenza e di morte.
E’ sorprendente come Mario sia riuscito a sottolineare con tanto acume le differenze culturali che ci separavano (e probabilmente ci separano ancora) dai russi; differenze di abbigliamento, di usanze e di alimentazione” Mario racconta delle tante persone che, durante il periodo al Fronte, ha incontrato: i commilitoni, gli “alleati” tedeschi duri e cinici, i “nemici” russi che invece lo ospitavano in casa, anche per periodi lunghi, tali da consentire la nascita di forti sentimenti tra loro.
Questa lettura, a settant’anni dagli eventi narrati, scorre via pagina dopo pagina e porta ad immaginare come la storia di ciascuno dei personaggi sopravvissuti si sia successivamente sviluppata, passando da una quotidianità di guerra alla ricostruzione nei tempi di pace.
Il diario, scritto su quattro quaderni russi del tempo, fu iniziato il 3 febbraio del 1942 e terminato il 13 ottobre 1943, quasi 21 mesi e mezzo dopo.
Contiene una seconda parte, con quattro brevi episodi che per la loro semplicità e intensità di contenuti potrebbero addirittura essere letti prima del racconto cronologico in sé, capaci di emozionare e trasportare fin da subito nell’essenza delle cose, al mondo tragico e disumano della guerra, a quel pezzo di storia di cui esistono ormai soltanto rari testimoni viventi. Al testo è stata aggiunta un’appendice. “Occorreva far conoscere quei particolari che negli anni successivi al suo ritorno a casa, Mario ha spesso raccontato ai famigliari, ma che per pudore e una sorta di timore aveva omesso di scrivere” spiega il curatore dell’opera Giorgio Jannon “Ancora poco tempo fa, nella sua vecchia casa di Condove, dove si era trasferito dopo il matrimonio al termine del conflitto, il discorso era di nuovo caduto sulla Russia, ai giorni di sofferenza della ritirata, agli orrori di cui era stato testimone pur non essendo stato sulla linea del fronte, a una sorta di rispetto che si era creato fra gli italiani, la popolazione locale e in qualche caso con i partigiani russi.
Ogni volta che Mario ne parlava si leggeva la commozione nei suoi occhi. La sua mente e il cuore erano ancora là, come se non fosse passato tutto quel tempo.
L’appendice contiene le fotografie che provengono dagli album dei famigliari di alcuni reduci dalla Russia condovesi che nel 1995, mezzo secolo dopo la fine della seconda guerra mondiale, avevano lasciato la loro testimonianza per un corposo libro scritto a otto mani che raccontava il periodo del conflitto nel loro piccolo paese della bassa valle di Susa. Quelle immagini non avevano potuto allora essere pubblicate, ma hanno trovato adesso il giusto spazio, insieme alla testimonianza del vivente Walter Tessa, condovese d’adozione, autista sul Don, anch’egli tornato a casa incolume.
Dei 229.000 soldati italiani inviati in Russia, ne furono rimpatriati 29.690 perché feriti o congelati. Dei rimanenti, i superstiti furono solo 114.485. Mancavano all’appello 84.830 uomini di cui 10.030 sarebbero stati restituiti solo più tardi dalle autorità dell’ Unione Sovietica. Il totale delle perdite ammontò a 74.800 uomini. Molti di loro, si seppe molto più tardi, morirono di malattia e stenti nei campi di prigionia russi.
A.B.

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