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Lavoro, non parlate al manovratore

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Per carità; è legittimo se non doveroso dare ampio e pieno diritto di cittadinanza alla battaglia contro il (o la) Tav, ci mancherebbe.
Purché segua le vie della democrazia e della non violenza. Quello che stupisce è …qualcos’altro.

Ad esempio che, nell’Anno Domini 2022 sia ancora questo il terreno di discussione delle campagne elettorali nei Comuni valsusini e non solo. Sono passati più di 20 anni, anzi ormai sono quasi trenta, da quando questo annoso dibattito è nato nelle contrade valsusine per poi propagare al resto d’Italia l’opposizione a un’opera trasformatasi poi in un ‘no’ diffuso, globale, risoluto a qualunque cosa, dal Mose, al Ponte sullo Stretto, alle trivelle per cercare il gas nel mare (le avessero usate forse oggi non saremmo nei guai), fino ai vaccini…. Con tutto quel che segue e consegue.

Orologio della storia fermo ai polsi di qualcuno? Può darsi, anche se è capitato a chi scrive di sentire più d’uno tra sindaci e amministratori valsusini dire che la questione Tav occupa qualcosa intorno allo 0,1% del suo impegno (e meno male, verrebbe da dire).

L’altra questione è persino peggiore. C’è chi è pronto a fare (quasi) qualunque cosa pur di evitare che questa linea passi in Valle di Susa. Attaccare poliziotti e cantieri, beccarsi qualche arresto e qualche bel mesetto al fresco, inveire contro le ‘truppe d’occupazione’ manco fossimo in Ucraina, e via dicendo.

Poi scopri che nei dintorni di Casa Sitaf (quella dell’autostrada per intenderci) rischia di capitare un bel pasticcio occupazionale che toglie il sonno a più di 100 dipendenti della sua controllata Tecnositaf e che più o meno la stessa cosa potrebbe presto capitare ai lavoratori delle altre controllate.
E qui che succede? Tutti zitti, nessuno che fiati.

Ai bei tempi andati ci sarebbero state dichiarazioni roboanti, richieste di chiarimento, enti locali e comunità montana (che oggi si chiamano in un altro modo e sono tre) in fibrillazione a chiedere chiarimenti, aprire confronti, sollecitare trattative. E invece niente.
Silenzio assoluto e nessun corteo. Quasi valesse quel vecchio principio che un tempo stava scritto sui tram: “Non parlate al manovratore”, oggi trasformato in un solenne “Non parlate al casellante…. o al telepass”. Che poi, tanto, non può certo rispondere…

Di più. Vieni a sapere che in valle ci sono industrie che un giorno sì e l’altro pure minacciano di chiudere baracca e burattini ma, anche qui, tutti zitti; anzi scopri che (e c’è da dire che succede da un po’ di tempo), gli ultimi a venirlo a sapere sono proprio loro, sindaci e amministratori pubblici.
Mentre i dipendenti, se parlano, se dicono in giro quel che succede, se confidano il rischio che corrono vengono pure solennemente cazziati dal datore di lavoro (a volte pure dal sindacato) perchè i danni potrebbero essere pure peggiori.
Non parliamo poi se la notizia finisce su qualche giornale; in questo caso le raccomandazioni assumono i connotati dei toni minacciosi.

Viene in mente quell’articolo 1 della Costituzione che recita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.
Frase mai scritta sui tram, al contrario di quell’altra. Ma poi: ci crede ancora qualcuno?

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