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Giovanna, vita e storia di una mamma

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L’ultimo saluto dei santantoninesi alla figlia di Ilse Scholzel e di Vittorio Manfrino. Le parole della figlia Irene e il ricordo del parroco don Blandino

 
Di solito partecipare al funerale di una persona amata e stimata mette addosso una tristezza infinita e la sofferenza, il dolore che senti dentro e che leggi nei volti dei parenti fa scendere le lacrime dagli occhi. Non questa volta a Sant’Antonino, non martedì 15 novembre al funerale di Giovanna Manfrino. Una delle rare occasioni in cui non veniva da inveire contro la morte, di solito ingiusta e innaturale, ma da accoglierla serenamente fino a chiamarla ‘sorella’ come faceva San Francesco. E allora le lacrime non sono di dolore ma di gratitudine; dire di gioia è troppo perché il distacco, a qualsiasi età, dilania il cuore.

Retorica? Chissà. Ma quella di Giovanna Manfrino, 88 anni – da tutti conosciuta come, per citare l’omelia del parroco don Sergio Blandino, “la signora del Cresto oppure come la figlia di Ilse la tedesca, quella che savò il paese” – è davvero una morte che parla della vita. Una morte che, per citare ancora don Blandino, “non è una parola che fa paura e che non si osa neppure pronunciare”.

Dici Giovanna e dici Ilse e Vittorio (i genitori) e se parli di Giovanna non puoi fare a meno di vedere i volti dei figli Andrea, Barbara, Luca, Irene e Davide con le loro famiglie e pronipoti. Una persona unica, originale ma non un’isola, capace com’era di creare comunità nella sua famiglia e all’esterno, sempre attenta e sensibile nei confronti delle persone fragili e bisognose.

Nessuna agiografia, sia mai. Ma per Giovanna parlano i fatti e le testimonianze di chi l’ha avuta come mamma e come amica.Giovanna Manfrino nasce il 15 settembre del 1934. “Viveva con i suoi genitori Ilse Sholzel e Vittorio Manfrino – racconta la figlia Irene – in via della Consolata a Torino, a Palazzo Paesana. Il papà di Vittorio era palafreniere del Re, preparava i cavalli per il sovrano quando questi andava a caccia”. Un lavoro di un certo peso, verrebbe da dire.

Poi Giovanna cresce. Neanche Ilse e Vittorio però sono persone ‘ordinarie’.

Lei, ballerina a Dresda, aveva incontrato Vittorio Manfrino (attore e capocomico) durante una tournée in Italia. Poi l’amore e di lì a poco il matrimonio. Poi la guerra, i bombardamenti e la ‘fuga’ in Valle di Susa, a Sant’Antonino, su al Cresto dove la piccola Giovanna cresce con la mamma, perché a un certo punto papà Vittorio va al fronte a fare spettacoli per sollevare il morale dei soldati italiani in guerra.


Arriva l’8 settembre ’43. Armistizio e invasione dei tedeschi. Mamma Ilse viene ‘assoldata’ dai tedeschi che hanno bisogno di un interprete e lei che fa? Accetta ma approfitta di quel ruolo per aiutare la gente, salvare la vita ai partigiani, ospitarli addirittura nella sua casa al Cresto e arriva perfino a salvare il paese dai nazisti che volevano distruggerlo per rappresaglia dopo un attentato.

In tutto questo tempo Giovanna cresce, corre, gioca, scorazza con la sua amica del cuore, Amalia Dodero.

Poi la guerra passa. Arriva la pace. Giovanna studia lingue a Torino, al Circolo Filologico. Ne impara ben quattro che continuerà a parlare sempre, ogni volta che potrà. Lo ricorda proprio don Sergio durante l’omelia parlando degli ultimi anni della sua vita a Sant’Antonino: “Ogni volta che si andava in gita nelle varie parti d’Europa, lei non mancava mai. Si esprimeva con scioltezza nella lingua del posto, anzi si dispiaceva quando un vocabolo non le veniva in mente”.

Ottenuto il diploma incontra Gianni Fornasa, ingegnere che sta perfezionando la conoscenza della lingua americana. I due si innamorano e si sposano. Lavorano tutti e due, lui alla Riv Skf, lei in un’importante ditta chimica, la Rumianca, dov’è assistente di direzione. Poi arrivano i figli e, dopo il secondo, Ilse lascia il lavoro per fare la mamma …. a tempo pieno e indeterminato.

“Mamma sempre e comunque” ricorda Irene che, al termine della Messa martedì ha letto una poesia che spesso ripeteva insieme a Giovanna. “ Mamma non solo dei figli, anche dei nipoti e di tante persone bisognose che bussano alla sua porta o che chiedo il suo aiuto”, aggiunge.

Parlando di lei Irene è un fiume in piena. Elenca le sue caratteristiche una ad una: “Scrivi questo. È importante”, ripete. Fatichiamo a elencare ogni cosa, ogni circostanza, ogni ricordo. Tutto è prezioso ed è un peccato interrompere, sintetizzare.


Vale allora quel che ha detto don Sergio: “ Tutti saremo giudicati sull’amore e lei ha amato tanto. La sua è stata una vita di fede vissuta intensamente e di preghiera. Amava la musica, era una donna di profonda cultura. Amava le persone, amava andare in montagna con gli amici; amava i luoghi, la Val di Fassa dov’è vissuta a lungo e poi il Cresto” dove si rifugia dopo la morte del marito Gianni tornando dal Trentino nella casa dove visse, bambina, con mamma Ilse. Giovanna, ha detto don Sergio, “ha avuto tre doni. E’ morta in grazia di Dio, con i famigliari vicini ed è morta nel letto della sua casa”. E poi: “Ho sempre ammirato in lei lo spirito contemplativo, sapeva godere e gioire delle piccole cose”. Ma, soprattutto, ha “Giovanna ha fatto vivere bene tante persone, a partire dai suoi famigliari per arrivare a tante persone che le hanno voluto bene”.


Al termine del funerale miglior saluto per Giovanna Manfrino non poteva esserci: le note de “La vita è bella” di Nicola Piovani uscite dal flauto di Mauro Tardivo per accompagnare l’ultimo viaggio di questa piccola, grande donna.

Bruno Andolfatto

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